IL SECOLO ADDOSSO

14 Giu

IL SECOLO ADDOSSO
RIFLESSIONI POST LETTURA SU “I BUDDENBROOK – DECADENZA DI UNA FAMIGLIA” DI THOMAS MANN
La lettura de – I Buddenbrook – Decadenza di una famiglia di Thomas Mann (edito dalla Newton Compton editori s.r.l. Roma, 1992 – Biblioteca Economica Newton al prezzo di 3000 lire) è stata una vera piacevolezza. La letteratura sa dare quella dimensione in più che nessun mezzo può sostituire, quella percezione dell’animo del personaggio, quella condivisione di sensazioni tra realtà letteraria e la propria vita vissuta, tramite l’onnipresenza palpitante dello scrittore narratore, che in questa opera sente tutto il peso del secolo che gli sta piombando addosso.
Leggendo ho fatto spesso dei parallelismi con il verismo siciliano, con Il Ciclo dei vinti di Verga e con il Ciclo degli Uzeda di De Roberto. Ad esempio come la micro storia del romanzo si incastrava con la macro storia di quell’epoca. Anche i Buddenbrook in fondo sono dei vinti, così anche il destino è stato l’artefice della loro sconfitta. Fa da padrone in tutti l’influenza di Emile Zola.
A Birkenfeld hanno istallato una vetrina con due manichini con abiti del XIX secolo che mi hanno richiamato alla mente i Buddenbrook: Tom e Tony. IMG_20180331_101905
Il romanzo tratta di una storia borghese, quindi spesso i personaggi hanno atteggiamenti imposti dal loro ruolo in famiglia che in società. I Buddenbrook sono dei commercianti di successo, nonostante la loro decadenza è segnata dal logorio delle loro persone che lentamente si esauriscono perché il loro esistere è un continuo logorio del vero se stessi tenuto sotto il ruolo assegnato. L’azienda decade insieme al suo titolare, simile alla terra che s’inasprisce con il malessere del proprio re.
Il libro ha una meravigliosa introduzione “Omero rinasce a Lubecca” di Alighiero Chiusano, il quale distingue le influenze di Mann in due correnti: la calda, avuta dalla madre mezzo brasiliana, e la fredda, avuta dal padre. Chiusano asserisce che l’Autore è stato caratterizzato maggiormente dalla teutonica, per la disciplina. Il padre muore e di seguito la sua azienda, quando l’Autore aveva sedici anni, finendo così il periodo di Lubecca. Dal 1893 Thomas si trova, con la famiglia a Monaco, dove già inizia la sua attività di scrittore con “Gefallen” e come giornalista satirico. E’ sorprendente la concentrazione di artisti e la conseguente vitalità culturale ed artistica di Monaco in questo periodo storico.
Il libro esce nel 1901 con tutto il secolo addosso pesante dove rivengono considerati i rapporti umani e storici individuali con il Mondo. E non si può che rimanere schiacciati come il piccolo Hanno, l’ultimo della discendenza Buddenbrook. Così scrive nella sua introduzione Chiusano, sulla morte del giovane Hanno, a pagina X: “(…) lo spegnersi di quell’enorme, cosmica distrazione del Nulla che ha nome Vita?”.
Sottolineature
Pagina 4: “Nel corso degli anni i suoi lineamenti erano diventati stranamente simili a quelli del marito.”
Pagina 5: “Se è un colpo a caldo (…) allora cade il fulmine. Se è freddo invece cade il tuono.”
E’ una asserzione della piccola Tony di fronte al nonno, che lo irrita perché detesta che i bambini abbiano idee bizzarre, “stupidaggini”.
Pagina 8: “Esteriormente, mio caro ragazzo, esteriormente sei liscio e leccato, ma interiormente, mio caro ragazzo, tu sei nero…”.
Pagina 23: “E la nostra indipendenza?”
Si tratta dell’Unione Doganale prussiana (Zollverein) attuata nel 1834 per creare un maggiore flusso commerciale tra i 38 stati della Confederazione Tedesca.
Pagina 34; 293: “O figlio, poni tutto l’animo nei tuoi affari di giorno, ma concludi solo quelli che ti consentono di dormire tranquillo di notte”.
Pagina 40: “scienza e allegria non si escludono a vicenda”.
Pagina 49: “significativa differenza tra ‘linea’ e ‘segmento’”.
Pagina 72: “Chi guadagna è rispettato.”
Pagina 77: “il materasso è di crine vegetale.”
Ricordo ancora fino a quando ero ragazzino che vi erano delle macchine in legno come delle cabine con una grande leva che servivano per filare il crine, con il quale si riempivano i materassi naturali completamente. E con il grande caldo della Sicilia questi materassi riuscivano a tenere la temperatura del corpo abbastanza fresco ed arieggiato. Poi l’industria e il consumo ha avuto il sopravvento con un prodotto più dannoso per la salute e meno qualitativo.
Pagina 84: “cercava di fare qualche gesto, vide da sé che erano impacciati e ci rinunciò.”
Mi ha ricordato le scene delle pellicole hollywoodiane, a volte ripetute fino alla nausea.
Pagina 86: “Rimasero a lungo in silenzio mentre il mare risuonava verso di loro calmo e lento… e Tony credette d’improvviso di essere unita a Morten in un grande, indefinibile, incredibile e nostalgica comprensione di ciò che significava libertà.”
Pagina 90: “una tua strada irregolare e arbitraria.”
Il peso della morale borghese che schiaccia il significato di libertà della protagonista segnandola comunque nel fatalismo della sconfitta e del fallimento.
Pagina 95: “Ma io non voglio proprio dimenticare! (…) Dimenticare… è forse una consolazione?!”
Pagina 97: “un rispetto quasi religioso dei fatti: perché non erano forse anche le minime cose volontà e opera di Dio, che guidava mirabilmente la storia della famiglia?…”
Pagina 97: “lo spazio vuoto a fianco.”
Pagina 110: “Uomo non educato dal dolore rimane sempre bambino!”
Pagina 110: “era come una pantera!”
E’ il giovane proletario che infrange una vetrina di un negozio per i moti rivoluzionari del 1848. Questo animale viene spesso utilizzato come metafora o similitudine per i rivoluzionari.
Pagina 112: “La rivoluzione era giunta sotto le finestre della sala del consiglio!”
Pagina 116: “Vogliamo un altro ordine,”
Pagina 118: “la rivoluzione a Berlino è stata preparata ai tè dei filosofi… Poi il popolo è sceso in lotta, rischiando la pelle…”
Pagina 125: “un titolo lo si tiene solo finché cresce… quando comincia a scendere, lo si vende…”
Pagina 126: “Lei ha una coscienza da cane del macellaio”.
Pagina 130: “bancarotta … era peggio della morte, era tumulto, crollo, rovina, vergogna, disonore, disperazione e miseria…”
Pagina 155: “la brama di render schiava la fortuna”.
Pagina 160: “Bruscamente si fece serio: così di sorpresa, come se una maschera gli fosse caduta dal volto”.
Pagina 169: “e per una lunga ora le catechizzava.”
Pagina 169: “con tutta l’indulgente, amorevole e pietosa superiorità degli umili di fronte ai signori che cercano la salvezza.”
Pagina 178: “diabolicamente buono”
Pagina 184: “vasto tempio delle agapi con le immagini degli dèi.”
Pagina 185: “c’è il cattolicesimo; io lo odio, come sapete, e ne ho una pessima opinione… (…) sono molto contenta che Tony resti fedele alla religione degli antenati e disprezzi le stupidaggini dei non evangelici.”
Pagina 186: “Sopra la fontana (…) che posso vedere dalla mia finestra, c’è una Madonna che a volte viene incoronata e la gente del popolo s’inginocchia e recita il rosario; è molto bello a vedersi, ma è scritto nel Libro: -Ritirati nella tua cameretta!-. Spesso si vedono dei frati per strada, hanno un aspetto molto venerando. (…) mi è passato accanto un alto prelato in carrozza, forse si trattava di un arcivescovo, un uomo d’età, insomma; beh, quel signore dal finestrino mi ha lasciato un’occhiata come fosse un tenente della guardia! Sai bene, mamma, che io non stimo molto i tuoi amici, i missionari, i pastori, ma TRieschke il piagnucolone non è niente in confronto a questo suitier, principe della Chiesa…”
Pagina 190: “Disprezza così tanto il fratello da non permettergli di amare ciò che lui stesso amava.”
Pagina 216: “Non si parla che della bomba di Orsini… Terribile. Sulla strada per l’Opera…”
Tratto dalla nota n°532 de L’ultimo degli Uzeda:
Orso Teobaldo Felice Orsini nato a Meldola il 10 dicembre 1819 morì ghigliottinato a Parigi, 13 marzo 1858. Fu uno scrittore, noto per aver causato una strage, nel tentativo di assassinare l’imperatore francese Napoleone III. La sua bomba, prese appunto il suo nome, fu conosciuta negli ambienti anarchici. L’innesco era a mercurio fulminante, riempite di chiodi e pezzi di ferro. Il suo testamento, forse autentico fu utilizzato come strumento di propaganda per l’intervento francese nella penisola italica. Finiva in questo modo: “Sino a che l’Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell’Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d’un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre.”

Pagina 231: “c’è un limite nella vita (…) dove la paura dello scandalo comincia a chiamarsi vigliaccheria”.
Pagina 232: “Come? E’ vergogna e scandalo nella vita solo quello che la gente viene a sapere? Oh, no! Lo scandalo segreto, che ti rode in silenzio e distrugge il rispetto di te stesso, è molto peggio!”
Pagina 254: “Era spinto in avanti, senza pace. (…) Chi è felice rimane dov’è.”
Pagina 261: “il bene viene sempre troppo tardi, diventa realtà troppo tardi, quando non si è più capaci di goderne (…) Si ha l’età che si sente di avere. E quando il bene desiderato giunge lento e tardivo, è accompagnato da tutte le piccinerie, le noie, le contrarietà, da tutta la polvere della realtà, che non era stata prevista dalla fantasia, e che irrita… irrita…”
Pagina 261: “Una forza segreta e indescrivibile”
E’ quella forza che in alcuni momenti della vita ti fa fare sempre la cosa giusta.
Pagina 262: “La ragione non è il massimo su questa terra!”
Pagina 265: “La breve pace del ‘65”
La politica dell’abile e geniale Bismarck allo scopo di realizzare la grande Confederazione della Germania mirando all’esclusione dall’impero austriaco ed alla realizzazione di un sentimento nazionale tedesco.
Pagina 265: “quando né dovere né colpa osano metterci le mani addosso, quando ci è permesso vedere, sentire, ridere, meravigliarci e sognare senza che il mondo ci chieda dei servigi (…) Ahimè, non passerà molto, e con pesante prepotenza tutto ci piomberà addosso per violentarci, esercitarci, allungarci, scorciarci, rovinarci…”
Pagina 273: “C’era la storia di un uomo che nel sonno ingoia un topo e quindi corre dal veterinario, che gli consiglia di ingoiare anche un gatto…”
Pagina 297: “e si affrettò a salire lo scalone.”
Pagina 319: “Io credevo… credevo… che dopo non venisse più nulla…”
Il piccolo Hanno mette due linee traverse sul libro di famiglia e prende uno schiaffo dal padre e così il bambino profetizza il destino della famiglia.
Pagina 321: “un –vecchio- che –chiedeva del bambino- (…) avvolto in una lunga pelliccia con il pelo all’esterno, coperto di polvere d’oro e fiocchi di neve, un berretto uguale, il suo viso tinto di nero e una straordinaria barba bianca che come le sopraciglia era eccessivamente folta e striata di fili d’argento (…) quel sacco – sulla spalla sinistra – conteneva mele e noci destinate ai bambini buoni che sanno pregare, che però quella verga – sulla spalla destra – era destinata ai bambini cattivi… Era San Ruperto.”
Pagina 336: “-Parla con sincerità, credi ancora alla sua innocenza?
-Come potrei? Proprio io che ho dovuto soffrire tanto? (…) La vita, sai, rende così tremendamente difficile credere nell’innocenza di qualcuno…”
Pagina 347: “I medici non sono al mondo per facilitare la morte, ma per conservare la vita a qualunque prezzo.”
Pagina 357: “sorella non è mai andata bene nella vita, anzi le è andata molto male. Mi è caduto addosso tutto quanto si può immaginare… Non so come me lo sia meritato. Ma ho accettato tutto senza disperare, (…) mi sentivo mai del tutto perduta. Conoscevo un posto, un porto sicuro, per così dire, dov’ero a casa, protetta, dove potevo rifugiarmi davanti a tutte le avversità della vita… (…) Quando eravamo piccoli e giocavamo ad acchiapparci, Tom, c’era sempre una –tana-, un posticino appartato, dove si poteva andare quando si era in pericolo, e dove non si poteva essere presi, ma si stava in pace.”
Pagina 362: “lemuri tremanti e zolle di terra che cadono sulla bara con un tonfo cupo.”
Pagina 363: “il suo cuore era rimasto giovane, non aveva mai cessato e non avrebbe mai cessato di essere capace di sentimenti grandiosi, di nutrire i suoi ideali con calore e fedeltà… Li avrebbe portati con sé nella tomba, sicuro! Ma gli ideali esistono per essere raggiunti e realizzati? Assolutamente no! Non si desiderano le stelle, ma la speranza… oh, la speranza, non il compimento, la speranza è il meglio della vita.”
E’ una grande menzogna, la speranza non è il meglio della vita, è la vita vissuta per ciò che si è realmente. Bisogna essere sinceri con la vita e la vita ci premia. Ci sono momenti di vita che si rimane per un po’ di tempo con il sapore in bocca e il profumo attorno. Anche la solitudine, il silenzio può avere il suo sapore se vissuti con autenticità. Sentire miliardi di microrgasmi sulla pelle in comunione con il Mondo, o con qualcosa che non si ha la piena consapevolezza, altro che speranza. La speranza non è vita, può essere mercanzia per le religioni, per i politici, ma non è vita.
Pagina 366: “tu gli attribuisci, verso di te e verso noi, gli stessi sentimenti che nutri per lui.”
Pagina 367: “Come –appaio- questo conta – e basta! Tutto il resto non riguarda nessuno.”
Questo è un assioma dell’ideologia borghese.
Pagina 374: “lì nessuno poteva vederlo appoggiare la testa tra le mani a rimuginare i suoi pensieri a occhi chiusi;”
Questa frase mi ha ricordato mio padre che quando gli affari in azienda incominciarono ad andare male se ne stava con le braccia appoggiate al bancone e la testa tra le mani, pensieroso.
Pagina 375: “gli procuravano quella sensazione di soddisfazione e di sicurezza con la quale un attore che ha preparato la sua maschera in tutti i dettagli si dirige verso il palcoscenico…”
Il dramma borghese di non essere se stessi e lasciarsi calcare la maschera del ruolo nella società. Come “la maschera di ferro” di Dumas. Soprattutto in questo passo del romanzo, il personaggio ha il condizionamento di un modo di vita che si va delineando, ormai sembra inevitabile il dramma del ‘900.
Pagina 376: “l’impoverimento e la desolazione del suo intimo – una desolazione così forte che si faceva sentire quasi ininterrottamente come un’indefinibile e opprimente pena (…) sostenere la sua parte ad ogni costo (…) una recita faticosa e snervante. (…) piuttosto, semiabbagliato, amava sentirsi la luce negli occhi e la gente, il suo pubblico, vederla davanti a sé come una semplice massa nell’ombra (…) il potere di padroneggiare i muscoli del viso e l’atteggiamento del corpo.”
Pagina 386: “una piacevole vertigine, un leggero stordimento, in cui la coscienza del tempo e dello spazio e di qualsiasi limite sprofonda in tranquilla beatitudine…”
Pagina 387: “mentre tutto lo spazio era pieno di quel sussurro lieve e sublime che parlava al piccolo Johan persuadendolo a chiudere gli occhi con un senso d’immenso appagamento.”
Pagina 390: “il bovindo e le bianche cariatidi”.
Una finestra che sporge ad arco orizzontale con delle bianche statue, figure femminili, che fungono da colonne.
Pagina 394: “L’acqua cheta rovina i ponti.”
Pagina 395: “l’amico della moglie (…) la vera tortura, era il silenzio (…) troppo profondo e inanimato per non destare terrore. (…) era un silenzio cupo, ambiguo, che taceva e sottaceva… (pagina 396) alla musica e all’infinito silenzio che si alternavano lassù.”
Pagina 399: “si rese conto dell’enorme immaturità e impreparazione del suo spirito nei confronti della morte.”
Pagina 400: “Stanco di fissare il vuoto, stanco della solitudine e del silenzio chiudeva ogni tanto gli occhi, per scuotersi di colpo e allontanare da sé quella pace.”
Pagina 400: “il fondamento e solenne diritto di soffrire a causa del mondo, del migliore dei mondi immaginabili, che con ironia gli veniva dimostrato essere peggiore di tutti i mondi possibili.”
Pagina 401: “La morte era una felicità, così grande che si poteva misurarla solo in momenti di grazia (…). Era il ritorno da (pagina 402) un inganno indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore, la liberazione dai più avversi legami e barriere… il risarcimento per una deplorevole sciagura. (…) arriva la morte e lo richiama a casa, alla sua libertà… Individualità! (…) Chi, che cosa, come potrei essere se non fossi me stesso, se questa mia persona non mi chiudesse, se non separasse la mia coscienza da tutti coloro che non sono me! L’organismo! Cieca, sconsiderata, deplorevole eruzione dell’incalzante volontà! Meglio, per davvero, che questa volontà si liberi nella notte senza spazio e senza tempo, invece di languire in prigione, appena illuminata da una tremula e vacillante fiammella dell’intelletto! (…) Dove sarò dopo la morte? (…) Sarò in tutti quelli che hanno sempre detto io, che lo dicono e lo diranno: ma specialmente in quelli che dicono più pienamente, più fortemente, più felicemente… (…) uno di quegli uomini la cui vista accresce la felicità dei felici e porta gli infelici alla disperazione: quello è mio figlio. Quello sono io, presto… presto… appena la morte mi libererà dalla miserevole illusione che io non sia tanto lui quanto me stesso… (pagina 403) La morte gli prometteva (il Mondo) in dono per intero. (…) Niente cominciava e niente finiva. Esisteva solo un’infinita presenza, e quella forza dentro di lui, che amava la via con un amore dolce, doloroso, inquietante e nostalgico, di cui la sua persona era solo un’espressione mal riuscita, avrebbe sempre saputo trovare le vie d’accesso a questo presente. (…) imbarazzo per le stravaganze mentali (…) la sua vanità si ribellava: la paura di recitare una parte bizzarra e ridicola.”
Il sentimento della Morte, provato dal personaggio del senatore Thomas Buddenbrook, è molto giovane non è per adulti, bisogna essere in pieno conflitto con il proprio corpo, con il Mondo esterno, ma quanta beata meditazione in questa stupenda pagina di Mann!
Pagina 404: “questa storia poco chiara e un po’ assurda non chiedeva comprensione ma la si doveva solo credere con obbedienza, sarebbe stata a portata di mano quando sarebbero venute le ultime angoscie… sarà così? (…) E dove rimaneva l’anima nel frattempo? (…) Come potevano lasciare gli uomini in questa ignoranza?”
Il sentimento religioso del personaggio e dell’Autore è di ribellione alla dittatura del dubbio e della speranza imposta dalla religione.
Pagina 438: “era fortunato, in quanto la maggior parte degli insegnanti lo lodava volentieri al di là dei suoi meriti, per dimostrare a lui, a se stessi e a gli altri, che la sua bruttezza non li induceva ad essere ingiusti…”
Pagina 440: “Cresciuti nel clima di una patria guerriera, vittoriosa e rinnovata, ostentavano rozzi modi virili. (…) i vizi più spregevoli erano la mollezza e la fatuità.”
Vi è il germoglio di ciò che sarà la Germania nel secolo seguente, è ciò che intendo come sentirsi il secolo addosso. I giovani Hanno e Kai hanno una tenera relazione che preclude ad una certa intimità omosessuale e ciò spaventava i giovani e la società attorno loro. Era un fattore così inconsueto da provare sgomento se non paura. Nel nazismo saranno puniti con la morte, eliminati per la stessa paura. Pagina 441: “sospettavano qualcosa d’impuro e di rivoluzionario (…) persone strane che era meglio lasciar stare…”.
Pagina 442: “adesso erano saliti alla massima dignità i concetti di autorità, dovere, potere, servizio e carriera; l’-imperativo categorico del nostro filosofo Kant- era il vessillo che il dottor Wulicke spiegava minacciosamente in tutti i discorsi ufficiali. La scuola era diventata uno Stato nello Stato, nella quale regnava il rigore prussiano con una tirannide tale che non solo i professori, ma anche gli alunni si consideravano funzionari, aspirando solo alla carriera e quindi ad essere ben visti dai potenti… (…) La personalità del direttore Wulicke ricordava l’atrocità enigmatica, ambigua, ostinata e gelosa del Dio del Vecchio Testamento.”
Pagina 443: “un’estraneità beffarda (…) corpo insegnante (…) una specie di mostro dall’aspetto ripugnante e fantastico.”
Pagina 446: “Essere pigro, oltre che stupido, è veramente troppo…”
Pagina 449: “Petersen si sedette e venne giudicato. Si vide chiaramente il compagno di banco discostarsene. Tutti l’osservavano con un misto di disgusto, compassione e orrore.”
Eppure il suo era un reato comune a tutti quanti in quella classe.
Pagina 449: “Non la voglio proprio, la fortuna: mi fa star male…”
Pagina 450: “Quel miscuglio di misticismo e risolutezza era un po’ sconcertante…”
Pagina 452: “Hanno Buddenbrook era quasi l’unico che il signor Modersohn conoscesse per nome, e se ne serviva per richiamarlo costantemente all’ordine, per dettargli compiti (,) per punizioni e per tiranneggiarlo. Conosceva lo scolaro Buddenbrook solo perché si era distinto dagli altri per la condotta tranquilla, e sfruttava quella mitezza d’animo per fargli sentire quell’autorità che non osava esercitare nei confronti degli studenti sfrondati e spudorati. –Persino la compassione diventa impossibile sulla terra a causa della volgarità- (…) è così, e sarà così sempre e ovunque (…)”.
Pagina 453: “si morsero la lingua, per ossequiosa devozione.”
Pagina 454: “Quando si ha molta paura, allora come per ironia va quasi bene; ma quando non ci si aspetta nulla di male, arriva la sfortuna.”
Pagina 455: “Non so volere.”
Convogliare le proprie energie in una precisa direzione è il primo passo per il successo.
Conclusioni
Vi invito, in maniera risoluta, alla lettura di questa straordinaria Opera di Thomas Mann.

 

Carillon di parole

8 Apr

Riflessioni di lettura su Orgoglio e pregiudiziodi Jane Austen

Alphonse Doria

Qualcuno seduto accanto poco davanti mi guardava, mentre stavo leggendo un libro appiccicoso e manieroso, un carillon di parole che tendeva ad addormentarmi. Lo percepivo con la sua grande mole e vestito di panno nero, con la forfora come neve sulle spalle, sentivo il suo odore dolciastro e fastidioso. Quando alzai lo sguardo su quello vidi che la sedia era vuota, non vi era nessun uomo vestito di nero. Ero solo in quella sala d’attesa alla stazione di Neubrücke, in quell’ora mattutina. Sarà stata l’impressione, la fantasia, forse suscitata dalla lettura di quel libro.

Buona lettura

9 Mar

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L’utopia dell’autorità

3 Mar

Riflessioni di lettura su L’angelo azzurro di Helnrich Mann

Alphonse Doria

L a strada della perdizione è dietro l’angolo, basta solo perseverare passo dopo passo e andare a costatare con i propri occhi, le proprie mani, il proprio corpo. Voglio precisare che nell’oggetto di questa discussione, se di perdizione si tratta, è quella sociale e non religiosa. In quella sociale s’intende anche la perdizione morale ed economica relativa alla perdita della propria autorevolezza. Per un nulla tenente, sfaccendato, con l’unico capitale la forza animale, a che cosa può mai interessare cosa vi è dietro l’angolo? Non vi sono angoli che tengono. La curiosità si accresce direttamente proporzionale all’autorità chesi detiene. Quando si parla d’autorità è a campo largo, dal capo mastro, al direttore d’orchestra, dall’impiegato generico al capo ufficio, da un soldato ad un generale, da un sindaco a un capo di stato, da un sacrestano al papa. Da un umile ad un tiranno. Da uno scolaro, o studente, all’insegnante. Chi più chi meno detiene la propria autorevolezza, c’è chi la gestisce bene e chi meno. Il problema è nella funzionalità di subire a proprie spese questa autorità. Nel sistema democratico è il popolo che dà la delega di concessione dell’autorità su se stesso, come un musicista si affida all’autorità del maestro affinché ognuno suoni la propria parte in maniera corretta. Quindi l’autorità non è altro che un servizio di uno scelto per capacità, o per merito, o per sorteggio, (o perché figlio di …) prestato agli altri. Addirittura san Paolo afferma che l’autorità dipende direttamente da Dio al prescelto per volere divino e quindi ogni suddito deve obbedire ciecamente perché così facendo fa la volontà divina. Lettera ai Romani 13, 1:“Non esiste infatti autorità se non proviene da Dio; ora le autorità attuali sono state stabilite e ordinate da Dio.”1 Un concetto che Paolo di Tarso rimarca nei suoi scritti e pseudo scritti, forse per strategia di sopravvivenza del movimento cristiano ad opera della sua missione evangelizzatrice tra i popoli Gentili2. L’autorità concessa ad altri limita la propria libertà, è più appropriato dire, nuoce gravemente alla propria libertà. E’ emblematico il passo sul Vangelo secondo Matteo 23,1-12 dove Gesù mette in evidenza come l’autorità può essere strumento di perversione, quindi indica ai suoi uditori di non seguire il loro esempio “scribi e farisei”, loro strumentalizzano la loro autorità per opprimere e per esibizionismo. Questo rimprovero è stato fatto ultimamente da papa Bergoglio al clero3. Quindi Gesù conclude al verso 11: “Chi è il maggiore fra voi sarà vostro servitore.”4 Gesù lavò i piedi a tutti i suoi apostoli a dimostrazione di ciò. Solo nell’ambito spirituale è potuto accadere, magari nel campo religioso, forse? ma neanche, concedetemi, di sicuro nel campo sociale (politico) mai! A motivo di ciò l’autorità è solo una utopia. Chi ha autorità non ne fa uso esclusivamente di servizio, ma spesso un abuso. Vi sono le leggi da rispettare e che cercano di controllare, di regolamentare, affinché non avvengano questi abusi. In realtà servono a generare altre autorità con tutte le imperfezioni del caso. Il potere va debellato non concedendo autorità agli altri, non facendo deleghe della propria libertà. E’ per questo che i più feroci dittatori sono nati da concetti sociali, accorgendosi alcuni che l’unica salvezza dalla propria libertà individuale è avere autorità.

1“LA BIBBIA – nuovissima versione dei testi originali – con introduzioni e note di A. Girlanda, P. Gironi, F. Pasquero, G. Ravasi, P. Rossano, S. Virgulin – Edizione Paoline s.r.l. 1987, Cinisello Balsamo (Milano) – Imprimatur Frascati, 12. 11. 1982. Pagina 1740

2Argomento affrontato dall’autore nel saggio di prossima pubblicazione: “Il timore e la speranza”.

3https://www.vitomancuso.it/2014/12/23/i-15-peccati-della-chiesa-secondo-francesco/ (Presa visione 27 febbraio 2024 ore 09,04).

4Vangelo secondo Matteo 23, 11 – pagina 1552 (vedi nota 1).

Sentire la vita

7 Feb

Riflessioni di lettura su Folliadi Patrick McGrath

di Alphonse Doria

La bellezza di questo libro è la possibilità di specchiarsi del lettore in tutte le sue ombre e scocche elettriche, cercando di identificarsi nella follia di desiderare, volere sentire la vita, magari una sola volta, un giorno, un ora, un attimo e poi per il resto sopportare il Mondo degli uomini come un animale intrappolato in una rete, o un dio prigioniero nell’immanente. Consiglio assolutamente la lettura, magari una seconda volta. Chi non ha incontrato Stella Raphael, lei vive in ogni donna che vuole sentire la vita. Afrodite si riconosce dal suo sguardo.

https://www.academia.edu/114583654/Sentire_la_vita

Al Banco dei Ricordi

19 Gen

Riflessioni di lettura su Norwegian Wooddi Murakami

Alphonse Doria

A vevo trovato uno scatolone a casa pieno di cianfrusaglie lo svuotai in un sacco dell’immondizia e lo riempii dei miei ricordi giovanili, me lo presi e mi avviai diretto e con convinzione al Banco dei Ricordi. Entrai e la porta vetrata fece suonare la campanella segnalandomi all’uomo barbuto e serioso che uscì dal retrobottega. Salutai ma quello mi rispose con un grugnito, posai lo scatolo sul bancone e senza aggiungere altro tirai fuori il ricordo del mio primo bacio, un po’ con la vernice rovinata, ma funzionante, gli chiesi: “Quanto mi da per questo?”. Lui lo prese in mano, lo guardò, lo rigirò e se lo fece cadere dalle mani sul bancone, disse con sdegno: “Non vale niente!”; “Come non vale niente?”, mi si accaldarono le guance. “E’ falso!”; “Le garantisco che è autentico! E’ tutto vero!”; “E’ imbrattato di fantasia, mitizzato… Non vi è più niente di suo. Guardi se non mi crede ne parli con lei e lo confronti con il ricordo che ha lei, vedrà che delusione!” Rassegnato presi il ricordo di un giorno a liceo, quando mi divertivo tra i banchi a fare il gradasso con qualche supplente. L’anziano con gli occhiali abbassati mi guardò da sopra le lenti e con tono seccato mi disse: “Anche questo non vale una sola minima speranza!”. Chiesi il motivo e lui sollevandolo con due dita mi disse: “Vedi come è piatto? Bidimensionale? sembra un disegno manga…”. A questo punto svuotai tutto il cartone sul suo bancone: “Veda se ce n’è qualcuno che vale qualcosa!”. Lui guardò uno, poi un altro, qualcuno bello grande e qualche altro minuto come un anello di latta, una piuma di colomba bianca, una moneta d’argento tutta ammaccata, una fibbia di latta di una cintura di borsa, una giornata di pioggia, un quarantacinque giri graffiato, Yesterday dei The Beatles, rimasto invenduto, una bobina impolverata con nastro magnetico di registratore, una pesante catena di no, alcuni in ferro arrugginito, altri in piombo e qualcuno in alluminio, poi attaccato con un gancio di orecchina un piccolo si d’oro come ciondolo. “Ecco questo vale qualcosa. Ma cosa ne ha fatto dei suoi ricordi? Li ha smarriti, persi nella quotidianità della vita, in questo modo come mai potrà avere delle speranze per comprarsi altri ricordi nel futuro? Ecco per questa collana, compreso il ciondolo posso darle solo due speranze fresche di conio. Li prenda prima che me ne penti. Il Resto lo butti tra i rifiuti, è solo immondizia!”. Ho rimesso tutto nello scatolo e me ne tornai come un cane bastonato. Guardai ad uno ad uno quei ricordi e incominciai ad appiccicarli in un foglio bianco di carta, non avevano un gran senso però rispettavano un inizio ed una fine, dopo aver finito quel bricolage lo guardai l’ultima volta e lo depositai in un cassetto. Poi con quei due spiccioli di speranza mi resi conto che si era fatto molto tardi e a quest’ora non avrei trovato nessuna bottega ancora aperta per acquistare qualcosa, così strappai alcune pagine dell’ultimo libro che mi era capitato di leggere e ci incartai le speranze fresche di conio, per rimanere intatte e belle.

Norwegian Wood – Tokyo Blues di Murakami Haruki – Introduzione e traduzione di Giorgio Amitrano – Giulio Einaudi editore, Torino, 2006. Trovato tra i libri di Federico a Bologna, tra gli ultimi acquistati nel settembre 2023, il quale mi ha consigliato la lettura. Tra la pagina 330 e 331 vi è un filo di tabacco, è plausibile che si sia rullato una sigaretta.E’ un romanzo bipolare: la morte e l’amore, pieno di sfumature e di spessore dove i sentimenti come l’amicizia, l’innamoramento, l’affetto parentale sono celati dalla latente depressione come una nebbia che si addensa e si scioglie, dove i ricordi adolescenziali emergono nell’unico senso esistenziale della vita. E’ un racconto orizzontale, quindi tratta esclusivamente dell’aldiquà, con dei lineamenti ben precisi delle immagini come un fumetto o un cartone manga, ha dei riferimenti culturali pop occidentali, ma non è letteratura leggera, comunque neanche alta, come la si intende in Giappone. Murakami si è posto sopra questo muro che divide i due generi di scrittura e ti offre la godibilità di un orizzonte più ambio e trasversale. Inoltre bisogna liberarsi dai tabù cristiano/cattolici per potere percepire nelle varie pagine di sesso un sano sentimento dell’erotismo. L’unico tabù “religioso” che si riscontra è il dovere del ruolo sociale. Come si vuol dire: ognuno al suo posto. Quindi nell’atto sessuale descritto vi è una certa ingenuità. Ad esempio fare sesso orale, o praticare la masturbazione, e distinguere tale pratiche dalla penetrazione, nella narrazione non vi è la partecipazione totale del partner, è un atto quasi amichevole, mentre il coinvolgimento avviene ricevendolo dentro per le femmine. Quindi è come alcune donne/ragazze che voglio arrivare vergini al matrimonio e praticano tutte le altre forme di erotismo e sesso. La verginità essendo una caratteristica fisica permette di mantenersi integra non praticando la penetrazione. Ma per noi siciliani, mezzi arabi e mezzi occidentali cristiani, la verginità è qualcosa che deve rimanere integra a livello sessualità e distinguiamo in maniera particolareggiata gli organi riproduttivi con il sesso, che è una presa di coscienza sensuale riguardante ogni parte del corpo. Oggi i giovani sono ben lontani dalla mia generazione, hanno dimenticato cosa sia lo stato verginale, sarà giusto, sarà sbagliato, ma viviamo una vita più aperta alla sessualità, la pornografia accessibile a tutti (senza limiti d’età) con un clic. Il mio rammarico è che questa apertura, chiamiamola pure emancipazione, non ci ha resi né più liberi, né più felici. I predicatori della libertà sessuale che promettevano una società più equilibrata, sana mentalmente e più libera socialmente si sono sbagliati completamente. Nagasava espone con chiarezza la posizione di Watanabe il quale ama Naoko ma ha rapporti con le altre ragazze che incontra insieme a lui nelle avventure serali: “Così lui separa il sesso dall’amore e risolve a parte questo problema. Che c’è di male? Mi sembra una cosa ovvia. Non può mica starsene chiuso nella stanza a farsi seghe tutto il tempo.”1 Poi leggeremo che Watanabe evita la penetrazione con le altre ragazze fin dopo la morte di Naoko.

Il professore Giorgio Amitranonell’Introduzione ha dato chiarimento ben preciso sul genere e sull’evolversi della letteratura giapponese, ma ho centralizzato la mia attenzione verso la conclusione riguardante il titolo di questa edizione confacente a quello originale del testo. Riporta la canzone dei The Beatles Norwegian Wood, inserita nell’album Rubber Soul. Mi sono immaginato Toru Wakanabe incontrarlo al Banco dei Ricordi con l’album dei The Beatles dalla copertina un po’ smussata negli spigoli e stropicciata per vedere se ottiene qualche spicciolo di speranza. Il trentatré giri ha qualche graffio, niente di grave. L’uomo del Banco disse quasi seccato: “Ancora Beatles?!”. Wakanabe con un filo di voce e con educazione lo invitò ad ascoltare la seconda traccia: Norwergian Wood. Il vecchio brontolone, quasi infastidito, ma era il suo lavoro, si avvicinò ad un fonovaligia a destra del bancone, torse il coperchio mise la spina, poggiò sul piatto il disco e mise la canzone, gracchiò un momento e poi iniziò la musica. Watanabe sorrise preso dall’emozione, aveva il viso smagrito. E il vecchio s’intenerì ricordandosi giovane e forte come una giornata di vento, si accese la nostalgia. “il giusto tributo (di Murakami) alla nostalgia per un passato irrecuperabile che è tra i temi principale di questo libro. La nostalgia struggente per un tempo perduto e lontano, che sembra stranamente viva anche in coloro che per ragioni anagrafiche quell’epoca favolosa e confusa non l’hanno mai vissuta.”2. Il vecchio mi guardò in faccia, ero all’angolo che facevo finta di guardare una tartaruga con il collo teso e la testa verso l’alto di bronzo, uno di quei ferma carte che le scrivanie importanti tengono da qualche parte. Avevo portato una radiolina a transistor National, compagna dei miei monotoni pomeriggi al negozio di famiglia. La lasciai nella tasca della giacca, ormai con le maniche accorciate, e non proposi niente. Con sfacciataggine gli chiesi quanto costava la tartaruga e quello come risposta fece uno sguardo che senza dubbi mi mandava a quel paese. Watanabe nemmeno mi vide. E così iniziò il ricordo di Toru Watanabe dettagliato preciso ricco di emozioni e sentimenti. Era la prima vola che Murakami dava nome e cognome alla voce narrante, ed era lì presente al Banco dei Ricordi, gli somigliava così tanto che era facile scambiarli.

Ho letto questo romanzo seguendo le tracce musicali, quindi You Tube e brano per brano citato nel libro cercato e ascoltato. Passate le settanta pagine mi sembrava assolutamente una lettura piacevole scorrevole, ma non trovavo ad oggettivare la narrazione, solo quando disposi la mia mente a quel mondo apparente bidimensionale del passato vissuto dal narratore, ma da vivere istante per istante da parte mia (lettore), allora rimasi coinvolto ed ho provato sentimenti, emozioni da condividere con Watanabe e Murakami. La narrazione inizia con Watanabe in volo verso la Germania che ode sull’areo una versione orchestrale di Norwergian Wood e viene rapito dai ricordi a tal punto che l’hostess se ne accorge e gli chiede se fosse tutto a posto. Lui rispose che era stato preso dalla malinconia. Quindi rifletto, anch’io mi trovo in Germania: “Auf Widersehen”. Quando ascolto certe canzoni mi sale il rammarico per una storia che non ho vissuto e mi manca non si sa cosa, non si sa perché, ma sono dei veicoli emozionali. Watanabe entrato nella dimensione del ricordo si accorge che quel mondo non è lo stesso di quello vissuto nel presente di diciotto anni prima. Perché i ricordi sono fatti di emozioni, vengono svegliati dalla musica, dall’odore, da un colore, una immagine e i fatti accaduti si reggono su queste emozioni. Quindi se l’emozioni non sono autentiche nemmeno i fatti si reggono sotto il peso della verità ed è per questo che vi sono ricordi che hanno la speranza di essere vissuti e altri non valgono nemmeno uno spicciolo di speranza. “Il cielo era così infinito che a guardarlo fisso dava le vertigini.”3Watanabe viene trasportato in quel mondo della memoria e ricorda particolari che forse lui con la mente non ha vissuto, ma il suo corpo n’è stato testimone di ogni minimo dettaglio. “L’odore dell’erba, il vento che portava dentro sé un gelo sottile, il profilo dei monti, l’abbaiare di un cane: sono queste le cose che per prime mi si affacciano alla mente. Chiarissime.”4 E’ un mondo deserto, senza altri esseri umani sono l’emozioni portanti suggeriti dalla memoria del corpo alla mente. Eppure nell’archivio dei ricordi la cartella portava scritto sopra “Naoko”. Watanabe cerca ancora e incominciano ad affiorare dei particolari di questa meravigliosa figura lunare rubata, quanto basta per rimanere eternamente giovane, al mondo dei Non-nati. Watanabe in fondo ai ricordi emozionali riesce lentamente e sempre più lentamente nel corso degli anni a ritrovare il suo volto, in una piega dolorosa del suo cuore, avvolto nell’ombra di un pericoloso pozzo e che facilmente può essere risucchiato nella depressione. “Si sa che da qualche parte c’è un pozzo profondo, ma nessuno sa dove si trova. Se uno ci cade dentro, è spacciato.”5 Ogni tanto qualcuno scompare, non si vede più in giro e si dice che è caduto nel pozzo… Naoko aveva una relazione di quelle che la vita in senso lato multidimensionale ti predispone anche nella storia quotidiana orizzontale con un ragazzo brillante, gentile, intelligente: Kizuki. Questo, senza sapere come e perché, si suicida, “da uno che marina la scuola per andare a giocare a biliardo, il minimo che ti puoi aspettare è che si suicidi.”6 Avevo in classe al liceo dei compagni che puntualmente marinavano la scuola per andarsi a rifugiare nelle sale gioco, sembravano giocondi, ma in realtà nascondevano dentro un senso amaro della vita, avevano bisogno di essere capiti ed aiutati, lo percepivo, ma non ho fatto niente lo stesso, perché l’adolescenza è un’età fragile dove ogni minimo problema diventa esistenziale. L’innamoramento di Watanabe per Naoko nasce ancor prima della morte di Kizuki, ma si sviluppa, è presente nell’innamoramento stesso il sentimento della morte, nella ricerca di qualcun altro e così trovare la salvezza di vivere, perché da soli non ce la fa nessuno e mentre si ama si muore e mentre si muore si ci innamora, perché si muore tante volte in una vita, tante quante si ci innamora. Watanabe pur cercando di dimenticare tutto ciò che era la morte di Kizuki, rimase un insegna luminosa: “LA MORTE NON E’ L’OPPOSTO DELLA VITA, MA UNA SUA PARTE INTEGRANTE.”7 Ne va della vita stessa, dell’esistenza stessa futura il procrearsi geneticamente tramite l’accoppiamento e quindi è per questo che l’amore è l’antmorte. Ed è per questo che la morte, “sentivo che noi vivevamo ispirandola nei polmoni come una finissima polvere.”8 Perdere un amico è come una slavina in una montagna, la montagna non rimane più la stessa, avrà un’altra figura e si trascinerà inevitabilmente alla rovina parte di ciò che si è, bisogna attaccarsi a qualche cosa per non essere trascinati giù. “Kizuki era morto, e da quel momento tra me e il mondo si era insinuato uno spazio vuoto, ostile e raggelante.”9 Si ha bisogno di sicurezza si ha paura degli eventi futuri, si ripetono le stesse cose, si ci lascia trascinare dalla quotidianità e dal senso del dovere. “Leggevo e rileggevo lo stesso libro molte volte, e a volte chiudevo gli occhi e mi riempivo i polmoni del suo odore. Il semplice annusare quel libro, scorrere le dita tra le pagine, per me era la felicità.”10 Quegli stessi polmoni che respiravano la morte in polvere finissima ora respirano l’aria del mondo di carta di un libro nella possessione autentica, in una felicità fittizia, perché i libri non danno la felicità, ma la liberazione anche della polvere sottile della morte. Watanabe non vuole sciupare il suo “tempo prezioso leggendo opere che non hanno ricevuto il battesimo del tempo. (…) Se uno legge quello che leggono gli altri, finisce col pensare allo stesso modo.”11 Sembra apparentemente una contraddizione non lo è perché sta argomentando su quei testi che hanno successo come novità editoriale ma non hanno ancora avuto la corona di opera valida. Per cercare il pensiero non omologato si deve andare tra le bancarelle, i negozi dell’usato, per trovare testi sconosciuti, con il rischio di perdere il proprio tempo prezioso, ma di sicuro qualcosa a livello intellettuale si ci trova sempre, quindi rischiare ne vale la pena, fidarsi dal contatto materiale con il libro ed essere deciso ad arrivare fino all’ultima pagina. Solo in questo modo si può ottenere un arricchimento intellettuale, perché è facile trovare parti in quel libro assolutamente non omologati perché non hanno passo la mannaia editoriale. Poi all’università si possono incontrare altre persone, forse nuove amicizie. E proprio un libro (Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerlald)12 fa da ponte tra Watanabe e Nagasawa (il bello maledetto), “Il suo inferno lo accompagnava a ogni passo.”13Una specie di egoista e narcisista tanto che afferma che Watanabe è simile a lui: “Tutti e due siamo tipi fondamentalmente interessati solo a noi stessi.”14 Non corrisponde nella narrazione per la sensibilità e il senso altruistico di Watanabe. Hatsumi, la splendida ragazza di Nagasawa, subì il suo narcisismo e quando partì per la Germania lasciandola con indifferenza non riuscì a continuare e si uccise, “senza che niente lo lasciasse presagire, si uccise.”15 Hatsumi era brava a biliardo e a Watanabe ricordava l’amico suicida Kizumi, dalla sua morte non aveva più giocato a biliardo e lo fece con Hatsumi, bravissima. E’ stata una coincidenza fatalistica, ma anche lei si suicidò. Consiglierei a Watanabe di non giocare più con nessuno a biliardo… Eppure Watanabe glielo disse: “L’amico con cui avevo giocato quella notte morì”16. Anche il nonno che insegnò lei a giocare “purtroppo morì”. Hatsumi era una splendida ragazza con classe dei livelli più alti sociali e Watanabe piaceva: “Stare con lei mi dava la sensazione di essere stato promosso a un livello di esistenza superiore.”17 Capiva che il rapporto con Nagasawa poteva essere distruttivo per lei ma lei era convinta che “le persone cambiano, no?”18 In una persona vi sono cose, abitudini, atteggiamenti che possono cambiare, ma quelle caratteriali sono e rimangono nella loro natura.

Nell’egli anni ‘70, nelle scuole e all’università, in ogni parte del mondo si respira aria di rinnovamento, protesta romantica, qualcuno inneggiava alla rivoluzione, di quelle che in fondo si sa che non si vuole fare sul serio, ma qualche cosina in fondo si cambia sempre. Così anche Watanabe ricorda i rivoluzionari che al grido di “smantellare l’università” non si andava a lezione: “Gente meschina che alzava o abbassava la voce a seconda di come girava il vento.”19 Poi molti si sono sistemati o nei partiti o nelle banche. Il protagonista non ha partecipato è stato solo testimone. Sturmtrupen, chiamato simpaticamente così era il compagno di stanza di Watanabe, la sua fonte principale di aneddoti per far colpo su Naoko e per riempire quei lunghi silenzi senza conversazione. E’ stato un esempio positivo perché gli ha insegnato a tenere alla pulizia sull’ambiente e su se stessi, ad avere rigore su se stessi e così non allentare la mossa. Un giorno scompare dalla sua stanza senza sapere come e perché va a chiedere informazioni dal direttore ma non ottiene nessuna risposta. Il direttore “Era quel tipo di individuo meschino per il quale non c’è piacere più grande del tacere ogni informazione agli altri, in modo da averne il controllo assoluto.”20Mi è venuto spontaneo associare i rivoluzionari di “smantellare l’università” e il direttore, Murakami usa lo stesso termine per qualificarli “meschini”. Per raggiungere successo sociale forse bisogna tradire se stessi e parte del proprio onore. Ecco che due di questi rivoluzionari irrompono nell’aula interrompendo la lezione sulla storia del dramma e informano il professore che l’altra metà della durata si terrà una discussione mentre l’altro aveva dei volantini. Ai miei tempi erano in ciclostile, “Sembravano proprio una coppia di varietà comico. Uno era pallido, alto e allampanato, l’altro era basso, scuro, grassottello, con una barba incolta che decisamente non gli donava.”21Mi ricorda la classica maschera del servo rustico di Pseudolo – La casa del fantasma di Tito Maccio Plauto. “Viene descritta da Arpace, a pagina 23122: ‘Era un tale dal pelo rosso, panciuto, dai grossi polpacci, brunetto, con la testa grossa, degli occhi vivaci, una faccia rubiconda, dei piedi enormi…’. (…) la descrizione è in fondo quella dell’immortale clown Augusto, sempre presente nelle coppie comiche come Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.”23La figura dell’Augusto basso e panciuto e del lungo bianco e allampanato è classica anche in letteratura, ad esempio Don Chichotte e Sancio e così via di seguito. Sembra proprio una continuazione sperimentale della lezione universitaria del professore che stava disegnando sulla lavagna lo schema scenico del dramma greco, una divagazione attiva delle due maschere ci sta, forse Murakami ha pensato a questo? Nello stesso corso di Storia del dramma 2 vi era Midori una ragazza strapiena di vitalità e per questo originale senza barriere mentali. Ogni personaggio è contrassegnato dalla morte, a lei la madre era morta da poco. La morte è sempre presente in questa vita adolescenziale. Il padre di Midori, non preoccupatevi morirà anche lui, quando è morta la moglie dice ai loro figli: “Non mi posso rassegnare. Sarebbe stato meglio che foste morte voi al suo posto.”24 Io sono rimasto convinto nella lettura che nel meccanismo della narrazione Midori si sia inventata questa storia, come anche che il padre era andato in Uraguay lasciandole sole e poi si scopre che si trovava il poveretto in ospedale ammalato terminale. Midori nella sua estrosità calca la mano sulla morte quasi vuole allertare, impaurire Watanabe affermando che nella sua famiglia vi è la morte lenta e non rapida, “Forse è una cosa ereditaria”25, quindi attenzione che: la morte lenta la posso attaccare alla tua progenie… “L’ombra della morte si insinua piano piano nel territorio della vita e comincia a corroderlo, e quando me ne accorgo sono già nel buio, non riesco a vedere più niente”26. Il sentimento della morte è la solitudine, la paura di restare soli, mentre Midori e Watanabe assistono all’incendio di una casa, in quella fresca serata sopra il tetto, lei, come una gatta in cerca d’amore, canta la morte come richiamo sessuale. Poi precisa ancora: “A stare da sola così, ho la sensazione che il corpo poco a poco vada a male. Imputridisce sempre di più si scioglie fino a diventare un liquido verdastro, poi questo liquido viene inghiottito dalla terra, e alla fine non rimangono che i vestiti. Ecco che effetto mi fa stare una giornata intera bloccata ad aspettare.”27 E’ sotto inteso: da sola! Non so se i ricordi si possono scambiare come le figurine da collezione, penso che qualcuno lo fa e si mette nei guai affermando di una prima volta con un partner, ma che non corrisponde assolutamente perché ciò che ricorda è avvenuto con laltro. Midori dice a Watanabe: “Come sarebbe bello se il primo bacio della mia vita fosse stato questo! Se potessi cambiare l’ordine degli avvenimenti lo farei diventare il primo bacio, senza pensarci due volte: e per il resto della mia vita continuerei a ricordarmene ogni tanto.”28 Midori è attratta da Watanabe e così anche lui da lei. Sappiamo che l’elemento di attrazione sessuale dell’uomo è l’attributo culturale, il ragionamento, così Midori, con la speranza di una sua esibizione del suo attributo culturale, gli chiede: “mi sapresti spiegare la differenza in inglese tra il condizionale presente e il condizionale passato? (…) che ruolo svolge questa differenza a livello vita quotidiana. (…) -A livello vita quotidiana più o meno nessuno (…) la funzione di questo tipo di cose consiste in un esercizio per comprendere la realtà in modo sistematico.”29 Non so se basta questa risposta per capire che nella vita quando si trova in una complicazione bisogna approfondire, con la curiosità forte abbastanza per superare le difficoltà di conoscenza. Quando qualcuno crede di avere capito non ha capito quasi niente. Di sicuro ogni lingua è un sistema di pensiero, è un riportare in codice la sostanza del concetto significato. Watanabe passa l’esame di Midori, pur non essendo di moda tra i “rivoluzionari”, che girano tra le aule dell’università, tutti omologati nel vestirsi e nel mangiare, nel leggere i libri e per i controrivoluzionari vi è la fucilazione, scherza Midori: “Magari perché capire il condizionale è controrivoluzionario.”30 Il sistema della rivoluzione, che diviene regime, per il popolo, la gente “comune” che si dovrà omologare al regime, per non essere accusati di nemici della rivoluzione, non cambierà in effetti granché “continueranno a vivere modestamente nelle loro modeste abitazioni. Cosa vuoi che sia dopotutto la rivoluzione? Cambiare il nome del governo. Ma tutti quei signorini non lo capiscono, quelli che si riempono la bocca di tante parole idiote. Ma tu l’hai mai visto un agente delle tasse? (…) Che dici, se scoppia la rivoluzione, gli agenti delle tasse cambieranno atteggiamento?”31 E’ un discorso che porta alla rassegnazione che non condivido pienamente, perché le rivoluzioni portano al cambiamento verso la libertà che nessuno mai è pronto a cederti pacificamente. Le esperienze dei regimi post rivoluzionari sono state tragiche e continuano ad esserle, perché il potere è una brutta bestia, è la gente comune che si deve togliere questa etichetta di dosso e non farsi controllare come un gregge. Quando qualcuno si definisce una persona comune commette un atto di autolesionismo alla sua persona, nata libera e speciale, vale per l’amore, per la politica e per la fede.

Naoko sente la solitudine ancor più pesante come un velo nero di malinconia che scientificamente chiamano gli addetti depressione e per questo si è trasferita in una struttura idonea al suo stato di salute, tra le montagne, dove si può essere se stessi con le proprie condizioni, liberi di esserlo. Naoko dice: “non siamo qui per correggere le nostre alterazioni ma per imparare a convivere con esse. E che uno dei nostri problemi principali è di riconoscere queste alterazioni e accentrarle. (…) Nel mondo esterno la maggior parte della gente vive senza la minima coscienza delle proprie alterazioni.”32 Quanto è vero tutto ciò e quanto bene può fare prendere coscienza dei propri mali, delle proprie afflizioni per poterci convivere giorno per giorno. A questo serve la letteratura a catalogare sin da bambini e riconoscerci quando è possibile. Ecco che “i libri che uno legge”33 sono importanti, e bisogna sostare l’ansia di vivere per rifletterci almeno un po’. Reiko, compagna di stanza di Naoko gli disse a Watanabe: “-Mah, in una cosa sicuramente noi altri siamo normali, nel fatto che almeno sappiamo di non esserlo.”34 La bellezza di Naoko lascia i lineamenti di fanciulla per affinarsi in quella di donna, “ma nell’insieme la sua bellezza aveva perso il suo carattere acerbo per diventare quella di donna. Quel qualcosa di affilato che a volte in passato affiorava dentro la sua bellezza – come l’improvviso balenare di una lama sottile che gelava il sangue – si era ritirato nell’ombra e al suo posto aleggiava una nuova tranquillità, dolce come una carezza. Era una bellezza che mi andava dritto al cuore.”35 La chimica tra Naoko e Watanabe va al di là del proprio volere, del proprio essere è una questione fisica ci si ci accorge immediatamente sembra che il corpo dice si ad ogni centimetro di avvicinamento e si predispone all’atto sessuale completamente. Quello che non succede con altri che anche se si ci vuole bene, un bene da morire, anche se si ama con tutto se stesso non succede la magica combinazione dei corpi. Può accadere per un istante, per una sola volta o magari per sempre. Poi si può avere paura di questa verità e ci proibisce andare oltre. Naoko: “Anch’io non capisco ancora tante cose di me”36. E’ questo fenomeno chimico che fa scoprire lo straordinario nell’altro, l’inconcepibile, ciò che non è “comune” con gli altri. Naoko lo scopre su Watanabe, ma lui pur essendo attratto dallo straordinario di Naoko, non lo identifica né su di sé ne su di lei e se ne meraviglia lo chiede pure. Lei gli risponde: “perché pensi che abbia fatto l’amore con te?”. Mentre pur amando Kizuki lei non ha avuto alcun rapporto sessuale di penetrazione con lui. Watanabe vuole sapere il perché e Naoko, figura fantastica lunare, perché è la Luna che divora i cadaveri, accetta di rispondere perché: “I morti restano morti, ma noi dobbiamo vivere.”37 Lei risponde che nonostante la sua predisposizione totale verso di lui a concedergli la qualsiasi cosa chiedesse “Non mi aprivo per niente.”38. Come fa un insetto ad impollinare un fiore che non si apre? Mentre con Watanabe è stato il contrario, il suo corpo si aprì e si concesse come un gelsomino di notte. Naoko e Kizuki avevano superato tutte le lotte adolescenziali per l’uno conquistare l’altro, erano coppia, entità. “Senza quasi conoscere quelle urgenze sessuali e le sofferenze di un io che cerca di affermarsi. (…) -Forse avremmo dovuto pagare il nostro debito nei confronti del mondo”39. Il mondo ha le sue regole, ha un prezzo esistenziale da pagare e rimanerne in debito uccide le speranze. Naoko e Kizuki sembrano figure aliene alla realtà che li circonda, sembrano della stessa sostanza, sembra che la memoria del Non-nato sia rimasta intatta e quindi infecondabile, non resta che fuggire da questo mondo, così prima Kizuki e poi Naoko si suicidano. La realtà diviene insopportabile quando manca una persona con chi si poggia la stessa esistenza come punto di riferimento e Naoko al ricordo cade nella crisi, vorrebbe non esistere, è questo il pericolo più grave di lei, il volere fuggire dalla vita. Mi ha colpito questa espressione: “la faccia sepolta tra le mani”40 come quando i bambini lo fanno e credono di scomparire dalla realtà. “nessuno ha mai capito perché si sia uccisa.”41Sarà stata una questione genetica? Considerato che “il fratello più piccolo di mio padre” si andò a suicidarsi sotto un treno, intelligente senza un apparente motivo, come anche la sorella di Naoko che lei stessa trovò impiccata in un giorno grigio e cupo di novembre. Naoko ricorda la camicetta bianca di lei e sollevata venti centimetri dal suolo, una distanza illimitata tra la vita e la morte. Naoko semina quel vuoto irreale di venti centimetri dentro sé: “Come se qualcosa fosse morto dentro di me”42 Sarà questo “il potere dei morti”43? Ma Watanabe non potrà mai dimenticare la bellezza di Naoko con “un sorriso così luminoso e privo di ombre”44. Il ricordo di Naoko è qualcosa di prezioso: “Pensai alla sua vita stretta, all’ombra del pube”45 come una rivelazione, una figura che trascende ma reale, fisica e indelebile nel tempo. Naoko non può allontanarsi dalla struttura è conscia della sua fragilità, è come un contatto con il mondo visto e udito diversamente: “Persone che mi chiamano, le loro voci ci sono come alberi che di notte frusciano nel vento”46, (allucinazioni uditive47). Non può allontanarsi nemmeno per andare a vivere l’amore con Watanabe. Naoko si andò ad impiccare, come la sorella in uno di quegli alberi che la chiamavano. Watanabe rimase l’immagine del suo corpo avvolto e ha immaginato la sua carne come una campagna di primavera che fiorisce. “Tornato dentro chiuse tende e finestre ma quell’odore era già penetrato anche in casa. Tutto ne era impregnato. Era un profumo di primavera ma in quel momento mi faceva pensare solo all’odore di carne guasta.”48 Terribile sensazione che preannuncia la morte e la vita che nasce dalla morte in un continuo ciclo. Per fortuna l’uomo riesce a distogliere la propria attenzione da alcune caratteristiche insite nella vita che sanno di morte, come il seme che deve germinare per potere risvegliarsi a nuova vita. E per fortuna c’è un’altra primavera e poi un’altra ancora nella nostra vita con cose buone e meno buone, “come una scatola di biscotti. (…) Bevendo il caffè guardavo dietro i vetri l’eterno paesaggio dell’università in primavera: il cielo velato da una leggera foschia, i ciliegi in fiore, gli studenti dall’inconfondibile aspetto di matricole che andavo per i viali con i libri nuovi sotto il braccio”49. Naoko non c’era… “Anche se avevo sentito con le mie orecchie il rumore del coperchio che veniva inchiodato sulla sua bara, non riuscivo ad accettare l’idea che Naoko fosse ritornata al nulla.”50 E’ una idea troppo assurda che una persona viva da un giorno o l’altro non ci sia più, finita, così nel nulla! “Il ricordo di lei era ancora troppo fresco. Lei che prendeva dolcemente il mio pene nella sua bocca, i capelli che le ricadevano sul mio grembo. Tutta la scena era ancora così chiara. E poi il suo calore, il suo respiro, il senso di vuoto al momento dell’eiaculazione.”51. Le vibrazioni di questo ricordo così vivo si contrappongono alla presa di coscienza che lei non c’è più, perché in quel ricordo c’è lei e il suo calore, la sua bellezza e il suo senso di morte in qualche parte dell’orgasmo di Watanabe. E’ proprio in questo istante che il lettore di Norwegian Wood si confonde credendosi il personaggio e di rimando anche Murakami. Questa è la magia della narrazione, quando avviene in una Opera allora è letteratura. Si percepisce che non vi è alcun muro tra la vita e la morte che separa i due amanti. “Lì la morte non era l’agente fatale che mette fine alla vita, ma solo uno dei tanti elementi costituenti. Lì Naoko continuava a vivere, portando dentro di se la morte. E mi diceva: -Non è niente, Watanabe. E’ solo la morte. Non devi preoccuparti. (…) La morte è solo la morte (…) mi ritrovavo sulla spiaggia da solo (…) La morte non è qualcosa di opposto ma di intrinseco alla vita (…) Nel momento stesso in cui viviamo, cresciamo in noi la morte.”52 E’ questa la filosofia di Murakami, moriamo mentre viviamo, moriamo in ogni istante della nostra vita, tutti, nessuna barriera ci divide tra noi e la morte perché ce la portiamo addosso. Watanabe ha bisogno un cammino per prendere coscienza, per potere poggiare i piedi nella realtà e continuare ad esistere. Nel suo viaggio incontra “un giovane pescatore si avvicinò”53 sembra uno dei pescatori di uomini di Gesù, gli offrì una sigaretta si fece prossimo a lui e lo aiutò. A Watanabe gli sembrò di mentirgli quando gli disse: “Mia madre è morta, mentii quasi di riflesso”54 In realtà ogni donna amata per un uomo è anche madre, prima del suo primo respiro. Senza questo incontro, senza questa menzogna/verità, sono sicuro che la fine del protagonista e di tutta la narrazione sarebbe stata un’altra. Nonostante il vuoto che sente in lui ha ritrovato nel ricordo e in quella mano tesa la speranza di continuare a vivere. “A volte ho l’impressione di essere diventato il custode di un museo. Un museo vuoto, senza visitatori, a cui faccio la guardia solo per me.”55 Il museo dei ricordi. “Tutto ciò che io avevo di più prezioso dentro di me è morto tempo fa e io agisco seguendo i ricordi.”56 Vi sono ricordi che possono andarsi a depositare al Banco dei Ricordi, così messi lì in uno scaffale per delle speranze nuove di zecca, perché a volte sono troppo pesanti da portare con noi e ci rallentano nella vita di tutti giorni, ci stancano. Non puoi bruciarli, o far finta di dimenticarli, perché in qualche angolo della tua mente ci sono sicuramente pronti a germinare chi sa quale erbaccia o splendido fiore. “quello che deve rimanere rimane e quello che si deve perdere si perde.”57 Dopotutto “Eravamo vivi, e l’unica cosa a cui dovevamo pensare era continuare a vivere.”58

Watanabe nella struttura dove si trova Naoko conosce Reiko, compagna di stanza. E’ un personaggio a se, può benissimo sostenere un romanzo per la sua complessità e completezza. Il concetto del male è molto esplicito nella sua narrazione, n’è l’oggetto. Reiko che da bambina aspira al successo come concertista di pianoforte, quando arriva al traguardo il suo corpo, la sua mente si scopre fragile e si ribella. Quando si è ambiziosi, che è anche giusto l’esserlo, ma quando lo si è poggiando tutta la propria esistenza allora nascono i pericoli, le fragilità e quindi spesso in queste crepe si ci può nascondere il male, qualcuno chiama e lo personifica con il diavolo, non vergogniamoci a definirlo così in maniera arcaica, ma può essere bene anche una visione orizzontale del male senza scomodare la dimensione spirituale. Una fanciulla dall’aspetto meraviglioso, innocente, irrompe nella sua vita chiedendole lezioni di piano, ma la seduce con atteggiamenti vittimistiche in un rapporto sessuale lesbico e poi l’accusa, ponendo dei ricatti. In poche parole la distrugge dentro e fuori, completamente. Il diavolo non può nessuna cosa contro gli uomini se non vogliono, il diavolo non è brutto come si dipinge, è di una bellezza disarmante, basta che gli concedi una sola unghia del tuo dito che ti prende tutto il corpo, la mente e lo spirito. Il diavolo è la menzogna, come la ragazzina che diceva di continuo bugie: “quando uno comincia col dire una bugia, deve poi dirne tutta una serie per sostenere la prima.”59 Il mitomane è facile da scoprire perché bugia dopo bugia costruisce un muro a torno a lui e ne rimane prigioniero. Sono rimasto affascinato dall’età speculare della ragazza (13 anni) e quella di Reiko (31), per chi è addentrato nella numerologia significa grande cambiamento e probabilmente momento di depressione. Chi ha una veduta esoterica il 13; 31 è un limite ben preciso, e dopo la crisi si raggiunge il momento dell’affermazione personale. Non so se Murakami lo abbia fatto con intenzione oppure è stato casuale ma apporta sempre più ad associare la ragazza alla figura angelica ribelle all’ordine divino. Naoko lascia in eredità i vestiti a Reiko, la quale capisce la missione di travestirsi di lei per potere fare l’atto sessuale con Watanabe come una cerimonia sacra all’amore dove si celebra la vita per la vita. I morti sono morti ma loro dovevano continuare a vivere.

Sottolineature

Pagina 94: “Non mi piace essere condizionato così da qualcosa.”

Mi sembra proprio un ottimo motivo per smettere di fumare. Io ho smesso il 16 novembre del 1992 e sono grato a me stesso per il tempo ritrovato, la salute e il risparmio economico. Una schiavitù in meno.

Pagina 146: “non bisogna fidarsi delle persone che dicono di essere comuni”.

Nessuno è comune con gli altri, chi lo sbandiera è perché si vuole nascondere nell’omologazione di una società conforme, quindi assume un atteggiamento ipocrita, finto, non autentico. Le parole: “normale”, “comune”, hanno solo un valore dissociativo, non in senso paradossale, ma reale perché considerano la diversità come estranea al gruppo sociale.

Pagina 247: “Euripide (…) Pare che sia morto sbranato da un cane.”

Questa notizia è più una leggenda che una realtà. In Sicilia si dice ancora a chi si comporta in malafede “Chi ti putissiru mangiari li cani!”, proviene dai cani cirnechi guardiani del tempio di Adrano alle falde dell’Etna dove i fedeli andavo in pellegrinaggio e chi era in buona fede veniva protetto dai cani, chi invece andava per rubare nel tempio veniva sbranato.

Pagina 249: “E’ bello poter mangiare qualcosa di buono. Ci si accorge di essere vivi.”

Pagina 256: “La morte di qualcuno lascia sempre nella mente i ricordi più stupidi e buffi”.

Non so se è vero, ma di sicuro la morte è un evento tragico che fa pensare ad una burla, è quando si prende coscienza della precarietà del nostro corpo.

Pagina 262: “io non sono uno che se ne sta a guardare il cielo in attesa che caschino i frutti”.

In siciliano si dice “ficu cadimi ‘nvucca” è l’espressione, o il pensiero del nulla facente il quale ha la pigrizia nonostante si trovi sotto un albero di fico di allungare il braccio e raccogliere il frutto, quindi disteso per terra all’ombra dell’albero attende che il fico si maturi e gli cada in bocca.

Pagina 285: “Il funerale è stato il meno. (…) Basta che ti vesti di nero e ti metti seduta con una faccia di circostanza (…) ti consolano”.

Pensavo che il colore del lutto in Giappone fosse il bianco. Comunque anche il “consolo” si chiama così in Sicilia quando portano il pranzo ai parenti in lutto del defunto.

Pagina 293: “Muovere il corpo libera la mente”.

Pagina: 296: “Watanabe (…) all’altare buddista con la foto del padre accesi una bacchetta d’incenso e giunsi le mani.” Il padre di Midori morto in ospedale e che lui conosceva perché lo aveva assistito per alcune ore. Mi meraviglia che nonostante tutto questo altare ricorda quelli di casa nostra. Il sentimento religioso sembra identico anche se cambiano credenze e rituali. Midori si rivolge al padre morto: “Quando si muore, si finisce di soffrire. Se per caso continui a soffrire, cantagliene quattro al padreterno.”60 E qui il buddismo se ne va per conto suo… La casa di Midori è proprio sopra il negozio di libri di famiglia. Watanabe non riesce a prendere sonno e scende giù si sceglie un libro “Sotto la ruota di Hermann Hesse e se lo legge. In Giappone la lettura dei libri è importante è come il calcio in Italia. Quanti qui sanno tutto sul Milan, la Juve, l’Inter e non sanno un bel niente di cultura? Mentre in Giappone l’uscita di un libro è un evento importante e popolare. Trovare pace nella lettura senza gridare slogan allo stadio… Rubare tempo al sonno per leggere un libro mi mette pace.

Pagina 306: “Perchè nella mano il dito medio è più lungo dell’indice mentre nel piede il dito centrale è più corto?”

Pagina 310: “Non farti mai prendere dall’autocompassione. Autocompatirsi va bene solo per la gente da poco.”

Pagina 315: “l’invito all’incontro annuale degli ex compagni di liceo, l’ultima riunione al mondo a cui avrei partecipato. (…) Buttai subito l’invito nella spazzatura.”

E’ il festival dei ricordi fasulli senza nemmeno il valore di un centesimo di speranza.

Pagina 329: “le ragazze (…). Tra i venti e i ventun anni tutt’a un tratto sviluppano un modo di pensare molto concreto. Cominciano a diventare realistiche. E le cose che fino a quel momento trovavi adorabili in loro cominciano a sembrarti banali e noiose.” Perché le ragazze crescono e i ragazzi rimaniamo ragazzi per parecchio tempo ancora, forse per sempre, cerchiamo solo di essere adottati da una ragazza.

Pagina 331: “Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità”.

Pagina 339: Midori chiese a Watanabe “ti piaccio”? E lui rispose: “Quanto tutto il burro che si potrebbe produrre se si sciogliessero tutte le tigri di tutte le giungle del mondo.” Mi sono chiesto perché? Dove sta la bellezza in questa demenziale e assurda comparazione? Scusate ma non l’ho capita. Forse non si deve capire.

Pagina 344, Reiko scrive a Watanabe: “Ho l’impressione che tu prenda tutte le cose troppo seriamente e questo non va. Amare qualcuno è una cosa bellissima e se si tratta di un sentimento sincero non bisogna sentirsi finiti in un labirinto. Abbi più fiducia in te stesso.” Per potere amare gli altri bisogna rispettare se stessi e di qualsiasi amore si tratti.

Conclusioni

Questo libro segna il mio incontro con Murakami è stato molto piacevole e utile alla crescita intellettuale della mia persona. Consiglio vivamente la lettura specialmente ai giovani. E’ un monito alla depressione a stare attenti a quell’ombra che si aggira nei vostri orgasmi, non abbiate paura di amare anche se amando si muore un po’ alla volta. E’ un romanzo che nasce da un viaggio “la prima metà l’ho scritta in Grecia, la seconda a Roma, con in mezzo un intervallo in Sicilia.”61 Non so perché Murakami non ha scritto nessuna parola quando si trovava in Sicilia, se lo incontrassi glielo chiederei di sicuro. Di certo avrà odorato i gelsomini durante la notte e avrà pensato a quel magnifico profumo che ricorda tanto l’emozione della vita neltimore del decomporsi mentre si vive e si muore.

1Pagina 268

2Introduzione di Giorgio Amitrano, pagina XVII

3Pagina 4

4Pagina5

5Pagina 7

6Pagina 32

7Pagina 33

8Ibidem

9Pagina 106

10Pagina 39-40

11Pagina 41

12L’ho letto parecchi anni fa e non ricordo quasi niente, non penso che mi abbia colpito in maniera particolare.

13Pagina 43

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17Pagina 276

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19Pagina 64

20Pagina 65

21Pagina76

22 Pseudolo – La casa del fantasma di Tito Maccio Plauto, introduzione di Cesare Questa – Traduzione e note di Mario Scàndola, I grandi classici latini e greci – teatro – Fabbri Editori – Milano, 2004.

23Cammino – LIBeRI 2“libro pubblicato dall’Autore” sul sito Amazon, Made in the USA presso Meddletown. DE, Copertina flessibile: ‎493 pagine ISBN-13: ‎979-8865800996 – ASIN: ‎B0CM1PWPKJ costo di copertina 17.72€ – 29 ottobre 2023, pagina 136

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IL MOVENTE

17 Ago

Riflessioni di lettura su Il ritorno del Padrino di Mark Winegardner

Qualsiasi libro si legga è di certo un bene, perché fonde d’informazione ed il lettore è privilegiato perché è posto sopra alla scrittura, quindi da quella posizione può sicuramente scindere ciò che per lui è bene e ciò che per lui è male, può farlo come anche no.

412orFE5cBL.jpg“Il ritorno del Padrino” di Mark Winegardner –“Il nuovo romanzo con la famiglia Corleone e i personaggi di Mario Puzo”- Newton Compton editori s.r.l. Roma – aprile 2009, traduzione di Tino Lamberti, stampa originale nel 2004 – prezzo di copertina “a soli €4,90”. Io l’ho comprato su e-bay compreso nel pacchetto dei testi di Mario Puzo, quindi come gratuito, quasi. Incuriosito più che per il contenuto soprattutto del genere di operazione letteraria. Questo non è il falso autentico, ma un “apocrifo”, come lo fu per Don Chisciotte di Cervantes,  la “Seconda parte del don Chisciotte della Mancia” scritta da un certo disonesto “Avellaneda nativo  di Tordesillas”. Giustamente per scrivere un opera del genere vi si deve lavorare sopra, nella ricerca, nell’attenzione del mondo creato dalle opere originali. Insomma è un bel lavoro d’intelletto, come sono le opere false autentiche, cioè quando persino lo stile e la scrittura vengono adoperate. Ma qual è il movente? Secondo me è uno solo: quello economico. Un’opera apocrifa si scrive dopo il grande successo dell’originale, quindi si ci traina dietro, con la speranza di procacciarsi qualche utile. Dal mio punto di vista il movente commerciale degrada l’arte pur se la diffonde più del lavoro puramente artistico. Creando così quella forma di arte popolare, da non sottovalutare quando non è apocrifa, ma capo filiera. Quando si scrive un romanzo si crea un mondo che si regge con la sua fisica, le sue regole, come una espressione algebrica, dove il risultato non può essere altro che quello, né più, né meno, che quello. Quindi, nell’opera apocrifa se si vuole raccontare una storia credibile, che si regge, bisogna mantenersi alla fisica ed alle regole dell’opera originale. In questo si nota lo sforzo letterario dell’autore e la validità del romanzo. La spregiudicatezza de – “Il ritorno del Padrino” è il titolo stesso, e poi, il nome di “Mario Puzo” in copertina, sicuramente per ottenere tale copertina tra simboli grafici e nome dell’autore originale vi è dietro un accordo di carattere economico e di commercializzazione della casa editrice dell’opera apocrifa. Concludendo che il movente commerciale è quello prevalente, posso solo aggiungere che è deviante per i lettori. Mentre il micro cosmo dell’opera originale, poggia su personaggi realmente vissuti e che hanno subito la metamorfosi entrando nella dimensione della letteratura, ma rimanendo sostanzialmente veri, nell’opera apocrifa perdono l’identità sono manichini senza anima che mantengono gli atteggiamenti e il linguaggio, l’agire degli originali, ma ogni loro azione non ha anima. Sembra niente, ma riflettendoci bene la destabilizzazione che crea nel lettore è al dire poco anticulturale, contro il pensiero intellettuale. Come l’autore scrive a pagina 23: “niente era solo e soltanto per affari. Ogni gesto, ogni azione, era qualcosa di personale.” E’ questo il dilemma del mafioso, la sostanza del movente. E’ proprio questo che è avvenuto in Italia con il berlusconismo. Il telespettatore, compreso me, non si è accorto che quel mondo finto ed attraente era senza anima, luci e paillette che richiamavano al mistico portavano solo al falso, come la morfina. Molti giornalisti, politicamente interessati, attaccarono duramente le veline, ma era ingiusto perché non svelava la tragedia che si stava trafilando nel pensiero comune italiano: l’etica del commercio di se stessi, di tutto. Anche lo stesso spettatore, o ascoltatore diviene così merce. I gestori costruiscono le reti (non a caso) per catturare spettatori da vendere alle aziende, ai partiti politici. Ancora oggi RTL 102,5, radio di grande successo a livello nazionale, il jingel  classifica i propri ascoltatori: “Very Normal People”, apertamente  classifica il suo bacino, il suo mercato, la sua mandria dove mungere il latte, e nessuno ci fa caso, nessuno percepisce che mentre ascolta quella radio è divenuto mercanzia da vendere al migliore offerente. E’ tutto un mercato, il movente è solo commerciale… Persino il servizio pubblico RAI si attiene in maniera vergognosa a questi parametri. A loro tempo hanno ritenuto giusto entrare nel discorso concorrenziale con le aziende di Berlusconi, causando disastro su disastro, ormai irreparabile. L’etica, il senso del vero, dell’autentico ha ceduto il passo all’etica commerciale. Il berlusconismo ha imposto le sue regole, non conta la qualità ma quanto rende. Maria De Filippi è regina di questo mondo. Lei trasforma sentimenti, vergogne di persone in indice di ascolto, in mercanzia. Prende giovani speranzosi del successo e da fuori lo schermo li fa entrare dentro e li trasforma in protagonisti dello spettacolo, quello che conta che rendano, non per la loro validità artistica ma che facciano ascolto, like sulla rete, siano mercanzia da vendere, una vera miniera d’oro. E’ un modo apparentemente giusto di essere una emittente commerciale, ma culturalmente spregevole, ché annienta la coscienza intellettuale delle persone. Ormai è troppo tardi. Torniamo al libro in questione. Il suo autore Mark Winegardner fa un lavoro di artigianato vero e proprio, realizza la sua opera riempiendo i buchi storici delle opere precedenti sia letterarie che cinematografiche, quindi narra dal 1955 al 1958 e dal 1959 al 1962. I suoi personaggi hanno atteggiamenti tipici a volte il Michael Corleone scimmiotta Al Pacino di  Francis Ford Coppola, così anche gli altri personaggi principali. Insomma cerca di non deludere le aspettative del lettore e non presentare estranei personaggi divenuti icone della memoria collettiva. A pagina 318, l’Autore mette in bocca a Nick una frase di Shakespeare per sottolineare la tragedia dai toni scekesperiani dell’omicidio di Fredo e i rapporti tra i fratelli Corleone, sia nel romanzo di Puzo e nel cinema. A pagina 391 la tipica, drammatica richiesta di Kay a Micheal: “voglio che tu mi dica la verità”, fa del romanzo in questione un eco, una ripetizione. Nel corso della lettura ho riscontrato diverse imprecisioni ed errori , come ad esempio a pagina 38: “un moglie”, a pagina 52: “una breve tratto di aria”, a pagina 96: “l’ingresso frontale della mangione”, che significa? Pagina 175: “aldilà del fatto”, va separato. Pagina 295: “Non c’è nessuna che legge che stabilisce come devi conservare le medicine’’. Pagina 345: “aveva deciso di frasi prete”. Pagina 383: “stava bluffando”. Pagina 456: “una placcaggio”; “collie degli Hagen”

Sottolineature

Pagina 15: “Due navi provenienti dalla Sicilia, ognuna con un carico di eroina”. E’ un modo facile di associare la parola droga alla Sicilia, serve a completare il quadro fantastorico dello sbarco alleato in Sicilia con la collaborazione della mafia siciliana. In realtà in questo periodo storico dai documenti d’inchiesta della Commissione Parlamentare VI si legge la partecipazione di industrie farmaceutiche del nord come la Schiapparelli di Torino e la Saicom di Milano, che hanno dirottato ingenti quantitativi di droga per scopi farmaceutici per il mercato illegale, coordinato dagli indesiderati ed espulsi elementi mafiosi come Lucky Luciano. L’Autore ha avrà avuto le sue fondi d’informazione storiche oppure la sua è solo una costatazione di carattere narrativo.

Pagina 317: ‘’Geraci importava la maggior parte  della sua eroina dalla Sicilia nascosta in lastre di marmo troppo pesanti perché gli ispettori doganali potessero muoverle”.

Pagina 19: “Come arma la paura è meglio di una pistola o di un pugno.”

“l’incisione sul dito”

La famosa “punciuta”, il rituale battesimo degli “uomini d’onore”.

Pagina 20: “col grande siciliano Don Cesare Indelicato”.

Il personaggio del romanzo “Il ritorno del Padrino” è d’invenzione, fatidico “capo di tutti i capi” della mafia siciliana. In realtà in quel periodo storico e neanche dopo fino all’avvento dei corleonesi (Riina), l’organizzazione Onorata Società era federale, ogni provincia aveva un suo  capo e non vi era una commissione cosiddetta “nazionale”, quindi un mafioso di una provincia non poteva muoversi o agire a suo piacimento in un’altra provincia. Mentre la provincia di Palermo era tenuta molto in considerazione dalle altre provincie e il capo della provincia molto rispettato. A pagina 80: “Nick era stato a Palermo (…) a perfezionare col clan Indelicato alcuni particolari relativi al personale.”. Pagina  384: “Cesare Indelicato, il siciliano capo di tutti i capi”.  Pagina 448: “un eroe dell’invasione della Sicilia da parte degli alleati, e il più potente boss della mafia a Palermo”. La storia non tramanda nessun eroe mafioso che aiutò lo sbarco degli alleati che è stata sufficiente la loro ferocia e criminalità di guerra per la gran mole di bombe gettate su obbiettivi civili causando un disastro insuperabile ancora oggi. Pagina 359: “L’antica rivalità tra gli italiani del nord e quelli del sud non aveva in alcun modo influito sulla loro amicizia o sul loro disprezzo per Mussolini. (…) il dittatore fascista mandò delle forze dell’esercito in Sicilia e ordinò loro di radunare tutti i mafiosi, sia quelli noti come tali, sia quelli sospettati di esserlo, e di imprigionarli nel piccolo isolotto di Ustica (…) senza il dovuto processo di legge.”. Pagina 449: “Durante la guerra, quegli elementi della mafia che non erano stati esiliati a Ustica dai fascisti, avevano fatto in Sicilia quello che la Resistance aveva fatto in Francia (Indelicato ai funzionari dell’OSS) aveva fornito loro preziose informazioni che avevano costituito la base dell’invasione dell’isola. (…) fazzoletti rossi con la famosa ‘L’. (…) E quando i Don furono liberati da Ustica tornarono a casa e scoprirono che grazie agli Stati Uniti e all’OSS il potere politico della mafia era aumentato in modo esponenziale.”

Pagina 449; 450: “Poco dopo Cesare Indelicato fu eletto deputato al parlamento italiano ed ebbe un ruolo decisivo nel promuovere un movimento secessionista teso a separare la Sicilia dall’Italia e diventare il quarantanovesimo stato degli Stati Uniti; movimento che sorprendentemente fu molto popolare.”

Pagina 483: “Don Cesare – nel suo tipico indiretto stile siciliano – stava discutendo i benefici che sarebbero potuti derivare dall’associazione a un’organizzazione massonica romana (…) Propaganda Due”.

gentile.jpgOra permettetemi una parentesi, come si fa ancora oggi pensare alla fandonia degli Alleati che hanno avuto bisogno dell’aiuto della mafia, oppure che hanno tenuto conto delle informazioni dei mafiosi per sbarcare in Sicilia? E’ un assurdo che pochi oggi avallano, solo gli sprovveduti e gli interessati per motivi ideologici. In realtà dopo una breve ricerca si scopre chi l’ha inventata. Scrive Salvatore Lupo, “Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni”, Roma, Donzelli 1993: “La storia di una mafia che aiutò gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky Luciano propose ai servizi segreti della marina americana per far cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione “Husky”. Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini d’oltreoceano”. Vi sembrerà strano ma è stato a rafforzare queste teoria di collegamento tra i servizi segreti americani e la mafia siciliana, un nostro concittadino: u ‘zzu Cola Gintili (Nicola Gentile, detto “Nick”, “zu Cola”, “Don Cola”, “Cola l’americanu” nato a Siculiana il 6 giugno 1885 dopo che l’organizzazione criminale si era accorta che nelle sue dichiarazioni non vi era alcuna notizia nociva ai loro interessi morì per cause naturali il 6 novembre 1976!). Il quale dettò un’autobiografia a Lillo Pullara e il suo memoriale al giornalista Felice Chilanti, autore su L’Ora. Il 9 giugno del 1963 u ‘zzu Cola, si presentò, occhiali neri e capelli bianchi, con i suoi 78 anni suonati tra America e Sicilia già autore del suo libro: Vita di un Capomafia che in seguito ad ottobre venne pubblicato dall’Editori Riuniti a nome di Nick Gentile con la prefazione del giornalista. Scrive Etrio Fidora, docente universitario fu direttore de L’Ora. negli anni 70. : “Nick Gentile, venticinque anni dopo – Gentile, infatti, era stato espulso e rimandato in Italia insieme a Lucky Luciano come displaced person (gli Usa si liberavano così, nel dopoguerra, dei boss italoamericani divenuti difficili a perseguirsi data la preziosa collaborazione prestata nell’invasione alleata della Sicilia). Egli era tornato a Siculiana, provincia di Agrigento, da cui la sua famiglia proveniva, riprendendo a farsi chiamare Zu’ Cola e divenendo capo elettore di un big regionale della Dc. In seguito si era trasferito a Roma, dove, qualche tempo più tardi, sulle orme di un altro famoso padrino, Joseph Bonanno, dettò un’autobiografia al giornalista Felice Chilanti, autore su L’Ora della prima clamorosa inchiesta nazionale che estraeva dall’ombra il fenomeno mafioso. E nel 1974, venticinque anni dopo l’incontro con Camilleri, fu appunto Chilanti a procurarmi l’occasione di pranzare con Nick Gentile in una trattoria romana sotto casa sua, in via Mario dei Fiori.”22 In realtà sono importanti le relazione tra il boss siculianese Gentile e il KGB tramite il giornalista (agente – spia) Leonid Kolosov, presentato dal Chilante come collega. Kolosov nei suoi rapporti al KGB lo chiamava “lo Zio” ed era interessato a lui per studiare i rapporti tra mafia e Massoneria. Lo zzu Cola è stato sempre un audace interlocutore tanto da dichiarare le dirette simpatie per il regime sovietico e le dirette antipatie per gli Stati Uniti d’America, pazzesco !! Tanto che il Kolosov gli regalò delle icone con la falce e il martello. Gli rivelò pure il colpo di stato progettato il cosiddetto “Piano Solo” e il KGB autorizzò Kolosov a rendere pubblica la notizia. Ancora oggi si ci chiede il perché delle sue dichiarazioni. Oggi si può parlare degli effetti di tale false verità. Primo si è mitizzata la mafia rendendola potente ed internazionale, è servito alla sinistra per criminalizzare l’influenza filoamericana nella politica siciliana. In una intervista Charles Poletti alla domanda precisa: “…ma vi è un fatto incontestabile: Lucky Luciano, che era in carcere per gravi reati, nel ’46 fu liberato e venne estradato in Italia dove per molti anni soggiornò liberamente fino alla morte, anche se era sospettato di controllare il traffico di droga tra l’America e gli Stati Uniti. Questo è causale? E’ un fatto che non ha nessuna interferenza con le vicende della guerra?” “Lucky Luciano fu perdonato dal governatore Thomas Dewey. Certe persone che volevano dare una spiegazione a questo perdono, inventarono che Luciano aveva dato un contributo durante la guerra. E’ completamente falso e assurdo. Il partito Repubblicano aveva altre ragioni per dare il perdono a Lucky Luciano.” “quali?” “il contributo finanziario alle campagne elettorali repubblicane.” “quindi il Governatore Dewey, che era repubblicano ripagava il contributo finanziario per la sua elezione a governatore e per il sostegno alle campagne elettorali repubblicane?” “Si, ma che Luchy Luciano ha avuto una parte nello sbarco in Sicilia, è assolutamente assurdo e falso!” “Ma a parte Lucky Luciano , la mafia ha avuto un ruolo in quella vicenda?” “no, noi non abbiamo mai sentito della mafia, noi non abbiamo avuto nessun contatto con la mafia. Io avevo posizione eminente, dunque, se avessimo avuto rapporti con la mafia l’avrei saputo.” Nel 2010 Pasquale Marchese pubblica La beffa di Lucky Luciano (Coppola editore, 175 pagine, 18 euro), dove dopo una rigorosa ricerca ed avere analizzato decine di libri, consultato relazioni e corrispondenze, esamina rapporti governativi e resoconti delle varie Commissioni antimafia collegando le varie dichiarazioni mostrando, sia le omissioni che con quale facilità hanno ripetuto l’un l’altro, più di trecento mafiologi e pubblicisti vari le notizie create dimostra quello Lucky Luciano aveva affermato con immediatezza: Non è vero niente

Tratto da Leonardo Butticè Memorie delle Fosse Ardeatine per un Eroe Siculianese Di Alphonse Doria – https://alphonsedoria.files.wordpress.com/2012/03/leonardo-buttice-memorie-delle-fosse-ardeatine1.pdf

Cesare Indelicato impersona la menzogna storica perpetrata sul Popolo siciliano, considerata anche la versione secessionista, per demonizzare la volontà politica di un diritto inalienabile d’indipendenza della Sicilia.

Il personaggio del romanzo è in gran parte inventato, rivelatore di una storia del tutto inventata che con un copia incolla politicamente sfacciato è divenuta omologata e venduta per buona. Forse è il personaggio più interessante del romanzo, un vero mostro alla Franckenstein, con una grande operazione di taglio e cucito, mettendo assieme caratteristiche di uomini politici e mafiosi del dopo guerra siciliano. In realtà l’ombra di Don Cesare Indelicato copre il grande disastro americano perpetrato al popolo siciliano. Primo gli Alleati cercarono dopo la presa della Sicilia alleati contro i fascisti, e la mafia faceva al loro scopo, secondo cercavano una fora armata pronta ad intervenire in caso di presa di potere dei comunisti, la GLADIO, aprendosi così la guerra fredda e la mafia era precisa per il loro scopo. Lo Stato italiano, con una politica Made in USA, affida la gestione della violenza in Sicilia alla mafia ora divenuta completamente Cosa nostra, fino alla caduta del muro di Berlino che ha segnato il crollo del regime sovietico.

Ho concentrato la mia attenzione sul cognome Indelicato perché è prettamente siculianese e non solo si chiamava così la mamma di Alfred Polizzi, ma anche Alphonse Indelicato, detto Sonny Red perché indossava quasi sempre degli stivaletti di pelle rossa da cowboy, è nato a New York , nel quartiere Little Italy il 25 febbraio del 1931. I genitori provenivano appunto da Siculiana. Dalle notizie in rete si legge che ha fatto parte della famiglia di Cosa Nostra Bonanno in qualità di capo. Sposato con la figlia di Carlo Ruvolo, download.jpgcapo dei Bonanno, da questo matrimonio nacque Anthony detto Bruno, anche lui divenne capo, dopo l’omicidio di Carmine Galante dentro un ristorate, eseguito insieme a suo cugino Steve Indelicato ed un altro. In una lotta interna alla famiglia Bonanno, nel 1979, quando Filippo Rastelli salì al vertice dell’organizzazione, la famiglia Bonanno si spaccò in due fazioni: i Zips, cioè i siciliani attorno ad Al Indelicato e gli altri. Il 5 maggio 1981 Alphonse Indelicato fu attratto insieme ad altri due in una trappola a Dyker Heights, Brooklyn e assassinato. Il corpo fu trovato dopo diciannove giorni in una discarica a Ozone Park , nel Queens da bambini mentre giocavano e fu riconosciuto dalle impronte. Questo capitolo della storia di Cosa Nostra viene chiamato “L’omicidio dei tre capi”. Dalle deposizioni di vari uomini di cosa nostra Al Indelicato è stato definito un uomo dal carattere molto determinato e violento, vestiva in maniera sgargiante molto colorata ed aveva due tatuaggi, due cuori e un pugnale sul braccio sinistro e poi la scritta “Olanda 1945”. E’ stato detenuto nella prigione statale di Sing Sing condannato a dodici anni. Nel film Donnie Brasco diretto da Mike Newell del 1994 con Al Pacino e Johnni Deep viene raccontato l’episodio dell’omicidio dei tre capi, dall’agente FBI Joseph Pistone infiltrato nell’organizzazione mafiosa. Sonny Red viene interpretato magnificamente da Robert Miano. Nel film l’agguato viene inscenato in uno scantinato di una casa privata, nella realtà è avvenuto dentro un ristorante.

 Pagina 25: “Un universo di somiglianza non differenziata.”

Pagina 29: “La saggezza è una cosa che raramente parla (…), ma alla quale ancor più raramente si dà ascolto.”

Pagina 46: “Non c’era niente di più sexy che guardare tua moglie con occhi libidinosi, senza che lei se ne accorgesse.”

Pagina 53: “Il denaro non è altro che migliaia di ‘pagherò’, sottoscritti e messi in circolazione da un governo che non sarebbe stato in grado di coprire neanche l’uno per cento del denaro in circolazione. Era il migliore racket del mondo, il governo emette quanti ‘pagherò’ gli pare e piace e poi passa delle leggi in base alle quali questi pagherò non possono essere scontati. (…) Questi mazzetti di banconote erano il frutto del lavoro di centinaia di uomini, ridotto quasi a un elemento di baratto, oggetto di scambio per i poteri di negoziato di poche persone e per le azioni di meno persone ancora. Cartaccia senza valore. Solo e soltanto dei pagherò.”

Immaginiamoci l’euro che non è nemmeno un “pagherò”… di Stato come la Federal Reserve negli Stati Uniti.

Pagina 57: “E’ un inferno quando la persona che tu sai di essere non è la persona che la gente vede quando ti guarda.”

Pagina 63: “un presunto elemento del sottobosco criminale dal ‘New York Times’’’.   

Pagina 67: “ho un sogno (…) i nostri bambini che cresceranno più come sei cresciuta te che come sono cresciuto io. Bambini americani, che potranno crescere e che potranno diventare qualsiasi cosa vogliono.”

Questo è il sogno di Michael Corleone rivelato a Kay.  Era il sogno di Alfred Polizzi. E’ il sogno degli uomini di mafia più potenti. E’ il movente principale nei romanzi di mafia di Mario Puzo. Pagina 68: “tra cinque anni la famiglia Corleone dovrebbe essere legittima e alla luce del sole quanto lo è la Standard Oil”. Pagina 347: “fermo proposito che la vita dei suoi figli sarebbe stata diversa”.

Pagina 82: “un siciliano non ha la stessa fede degli americani nel progresso”.

L’Autore sottintende la sfiducia dei siciliani verso il progredire che è divenuta un sentimento, la famosa “rassegnazione” dei colonizzati, in parte è vera e dall’altra parte è pronta a riattivarsi come nel dopo guerra con i moti indipendentisti che infiammarono tutti i siciliani. Ma vi è quel detto popolare, quella espressione: “Ehm! Munnu ha statu e munnu è!”, traslato il significato è: come la storia ci insegna non cambierà niente! Questa rassegnazione è stata indotta con armi potentissimi dalla politica con effetti disastrosi sul progresso della Sicilia.   

Pagina 149: “E nel 1860, più di mille anni dopo la sua morte, Leoluca si vendicò della morte dei suoi genitori apparendo come una torre di fiamme bianche al cospetto dell’esercito francese dei Borboni, che occupava Corleone, facendoli fuggire dalla città e nelle mani di Garibaldi che poi li cacciò definitivamente dalla Sicilia.”

San Leone Luca (Leoluca) di Carleone. Nato nell’815 a Corleone (Palermo) in una famiglia di ferventi fedeli e di posizione agiata, dopo tante preghiere per la sua nascita. Fu chiamato come il padre Leone. Da giovane curò gli interessi della famiglia e fu cresciuto sotto una educazione cristiana nell’osservanza dei sacramenti. Quando a 20 anni divenne orfano di tutte e due i genitori morti uno dopo l’altro in pochissimo tempo. Leoluca sentiva sempre più forte la chiamata del Signore così diede tutti i suoi averi ai poveri ed entrò nel convento di Agira dei monaci basiliani. Dopo la dominazione araba in tutta la nostra Sicilia fu invitato dall’abate Filippo ad andare a Roma come fece in pellegrinaggio per visitare le sante reliquie di Pietro e Paolo. Si spostò in Calabria nel convento di Vena Inferiore e di seguito a Mormanno dove fu edificato un nuovo convento. Tornò a Vena dove divenne il nuovo abate. Il 1° di marzo del 915 alla veneranda età di 100 anni lasciò la terra per il Cielo. Visse gli ultimi giorni in meditazione poi scelse il suo successore. Le popolazioni vicine accorsero subito per la morte del santo. Alcuni storici asseriscono che è stato sepolto nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Monteleone, c’è chi asserisce invece che è rimasto dove è deceduto a Vena. Vengono raccontati diversi miracoli come la guarigione di un paralitico portato al suo cospetto in convento e il santo Leoluca dopo averlo unto con l’olio di una lampada, l’ammalato si distese e incominciò a camminare.

Tratto: Almanaccu Sicilianu – Marzu “libro pubblicato dall’Autore” sul sito IL MIO LIBRO, stampato in Italia presso Thefactory per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. costo di copertina 13,00€ – Febbraio 2016.

Ecco i fatti storici dell’epopea garibaldina a Corleone.

Il comportamento del generale borbonico Lanza è stato altrettanto deplorevole, avere tenuto tutte le truppe chiuse tra le mura di Palermo non attivandosi per un attacco.   Quando il disubbidiente Von Mechel il 24 maggio giunse ad Altofonte da ovest, ed il generale Filippo Colonna di Stigliano giunse da Palermo, lanciandosi all’attacco chiudendo così i garibaldini in una tenaglia, l’unica soluzione per loro fu la fuga. Mentre Garibaldi era braccato verso Piana degli Albanesi arrivò l’ordine del generale Lanza di ritirata. Possiamo chiamarla inettitudine? La motivazione del generale Lanza fu di sospendere l’attacco per motivi di lealtà militare avendo lui chiesto l’armistizio.

              Da queste manomissioni della storia incominciano le devianze. Von Mechel decide ancora in contro ordine di inseguire Garibaldi, mentre Colonna ritorna a Palermo. Garibaldi manda una  parte delle sue brigate comandate da Orsini a Corleone, con tutto il resto, in maniera apparentemente insensata, si dirige verso Marineo. Quando Von Mechel arriva al bivio della Ficuzza, decide di seguire le tracce di Orsini, un errore, una trappola di Garibaldi, fatale. Di Bella dice:  “… von Mechel riteneva assurdo che il Generale tentasse di attaccare Palermo. Gli appariva molto più logico che si dirigesse verso l’interno per alimentare la ribellione già in atto e poi tornare su Palermo, con un numero superiore di rivoltosi. Ne concluse verosimilmente che oltre ad Orsini, anche Garibaldi si stava dirigendo verso l’interno per altre vie, per poi ricongiungersi.”

               Von Mechel informa con una staffetta il generale Lanza dell’inseguimento di Garibaldi. Gli errori producono solo errori! Così il 26 maggio Lanza telegrafa a Napoli: “La banda di Garibaldi, in rotta, si ritira disordinatamente pel Distretto di Corleone”.

               Garibaldi ha avuto le informazioni da alcuni comandanti Borbonici del loro dispiegamento di forze nelle mura del capoluogo, che le porte di Termini e di S. Antonio, erano mal difese e prive di cannoni posizionati, sapeva lontano Von Mechel e in maniera apparentemente irrazionale decide di attaccare Palermo. Mentre dall’altra parte il generale Lanza teneva più di 20.000 soldati ammassati dentro le caserme, sul piano del Palazzo Reale e chiuse nel Castello a mare. Lanza invece di organizzare almeno una difesa decente se ne va a bordo della Hannibal per stabilire un probabile armistizio con l’Ammiraglio George Rodney Mundy, e proponendo la disponibilità di concedere la costituzione del 1812.

             La presa di Palermo da parte di Garibaldi è piena di avvenimenti inverosimili da tregue arrivate inopportune per le truppe borboniche, che solo un tradimento di Lanza e di Landi può dare spiegazioni accettabili.

            Quando Von Mechel con i suoi 4.000 soldati giunge a Palermo, non sapendo dell’accordo fatto tra Garibaldi e il Lanza, produce un attacco vittorioso, mettendo di nuovo in fuga i garibaldini, ma l’ordine di desistere è arrivato puntuale, permettendo così il salvataggio in estremis di Garibaldi. Von Mechel per la rabbia spezza la sua spada in una roccia.

Tratto: L’ULTIMO UZEDA 1 “ libro pubblicato dall’Autore” sul sito IL MIO LIBRO, stampato in  Italia  presso Thefactory per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. costo di copertina 20.0€ – Aprile 2019;

Altro che miracolo di San Leoluca, qui si tratta di tradimento del generale dei napoletani Lanza.

Pagina 150: “Puoi picchiare un asino quanto vuoi, ma la povera bestia non diventerà mai un cavallo da corsa.”

Pagina 150: “Tom Hagen, che non era siciliano, no avrebbe mai potuto partecipare, osservare addirittura essere menzionato in queste cerimonie’’. Pagina 321: “l’unico consigliere nel paese che non fosse italiano”.

Caratteristica che nella vita reale è toccata alla Famiglia di  Alfred Polizzi. Pagina 346, Tom: “era il più siciliano tra loro”.

Pagina 177: “Più una persona diventa eccezionale più diventa estrema la sua collocazione nel mondo e finisce con l’essere noto a tutti, o a nessuno.”

 Pagina 179: “1955 (…) sedie in plastica arancione.”

La chiama  mio figlio Peppe: “La bellezza del brutto.”!

Pagina 185: “Ma questa è l’America; niente storia, niente ricordi.”

Cosa devono ricordare gli americani? Di avere massacrato migliaia di nazioni indigeni? Di avere fatto disastri per mezzo mondo in nome della “democrazia” e della “libertà”?

Pagina 187: “Uno dei maggiori vantaggi della vita è quello di avere un nemico che sopravvaluta i tuoi difetti”.

Pagina 219:  “ascoltare il destino”.

Pagina 239: “Non c’è uomo che o possa essere controllato da altri.”

Pagina 255: “quei minchioni che credono che viviamo in una democrazia”.

Pagina 267: “Appena vide l’isola  della Sicilia dal finestrino dell’aereo Kay si sentì mancare il fiato. (…) –Dio mio! Non mi avevi mai detto quanto fosse bella!- (…) il Mediterraneo era di un blu impossibile da descrivere, creato dall’oro del sole, (…) Palermo era uno degli aeroporti più pericolosi al mondo. (…) Il luogo di nascita di Venere (…) Kay aveva sentito parlare di cose che erano e di cose che non erano siciliane e di tutte quelle cose che lei non poteva capire perché lei non era siciliana.”

La Sicilia non è il luogo di nascita di Venere, questa imperfezione fatta dire a Michael, non so s’è stata voluta dall’Autore, ma di sicuro colora di esagerazione una verità mitologica, cioè che la Sicilia è la terra dei miti.

Pagina 283: “Fumava con la compostezza di chi aveva imparato guardando gli attori nei film’’.

Pagina 297: “Le idee sono merda. Quello che conta è sapere cosa fare con un’idea’’. Pagina 332: “se tu vuoi che qualcuno faccia qualcosa devi fare i modo che creda che sia un’idea sua e non tua’’. Pagina 333:  “le buone idee sono per i minchioni”.

Pagina 299: “un’aiuola di gelsomino d’Asia’’. 

Pagina 307: ‘’la guerra portata dall’aria è in effetti una forma  di assassinio scientifico’’.  

Pagina 315: “arrivati da poco dalla Sicilia e ritenuti spietati”.

Sembra un’immagine di quei film comici dove in maniera caratteristica si vedono i “siciliani’’ con baffi, coppole e sguardi cattivi… tutto presuppone un pregiudizio razziale. Pagina 433: “E ha a sua disposizione tutti quei siciliani, che potrà usare in un lavoro del genere; gente coraggiosa e risoluta che in più ha il vantaggio di non dover osservare la nostra regola che impone di non uccidere poliziotti o funzionari di governo.”  

Pagina 356: “Fuggire da ciò che siamo è proprio ciò che siamo’’.

Pagina 357: “(…)la maledizione che colpisce tutti i giovani. Sapeva solo cosa non voleva fare.”

Pagina 365 Micheal per fare rispettare l’oscuramento ai civili si è inventato che i giapponesi hanno centrato gli obbiettivi bellici, i serbatoi, che lui stesso aveva predisposto a fare esplodere, grazie alle luci accese delle abitazioni, ecco l’assioma del potere: GENERARE PAURA PER GESTIRE. Pagina 379: “La paura è nemica della logica”.

Pagina 387: “Presunti è una parola molto usata da giornalisti pigri, che la usano per potersi inventare delle storie”.

Pagina 404, Johny Fontana: “era solo una dimostrazione della sua umiltà siciliana, poi falsa modestia”.

Fa parte della teatralità di noi siciliani, siamo spesso delle maschere, interpretiamo noi stessi e a volte ciò che vogliamo che gli altri intercettano di noi. La figura di Fontana nel romanzo è facilmente individualizzabile con quella di Sinatra, questa caratteristica fa perdere il valore letterario dell’Opera. Mentre nell’Opera di Puzo il personaggio è solo di quel mondo letterario. Cosa Nostra a quell’epoca aveva interessi economici nelle case discografiche. Pagina 413: “La casa discografica forse era stata finanziata almeno in parte da Louie Russo e Jackie Ping-Pong”.

Pagina 416, Fontana: “tipico stoicismo siciliano”.

Pagina 445: “Quando per loro si rendeva necessario sparare, era quasi sempre a distanza ravvicinata.”

Pagina 448, pani cu a meusa: “panini farciti con la leggendaria specialità della casa, milza di manzo”.

Pagina 472: “sentirsi bene è più una decisione che una condizione”.

Pagina 477: “Non c’è nessun noi”.

Pagina 487: “tu non sei per niente ciò che credi di esser. Nessuno di noi lo è. Tu sei solo ciò che hai fatto, e niente più”.

MAFIA E STATO

Pagina 434: “Noi siamo il piano ‘B’”.

Pagina 466: “Voi siete parte del progetto (…) lotta contro il comunismo”.

Pagina 501: “Nel tempo che voi impiegherete per leggere questo libro, il vostro governo avrà partecipato a tanti omicidi e a tanti altri reati; molti di più di quanti gli uomini della mia tradizione e cultura abbiano perpetrato nei sette secoli della loro esistenza, credetemi.”

Pagina 504, RINGRAZIAMENTI: “Cesare Indelicato Junior (…) Leoluca Orlando”.

CONTRADDIZIONI

Pagina 113: “Nella O di non erano stati aggiunti a mano due puntini a mo’ di occhi e una linea convessa a mo’ di bocca, il contrario di un sorriso, col risultato che la parola “non” sembrava un faccione che lo stava guardando imbronciato.”

L’Autore, considerato che il capitolo è impiantato storicamente nel 1955, ha inventato le faccine dell’emozioni, dal mio punto di vista se la poteva risparmiare.

Pagina 118: “un sacchetto di plastica”,

Nel 1955 Kathy non poteva trovare un grosso pene di gomma in un sacchetto di plastica, perché il sacchetto di plastica non era stato ancora brevettato dall’ingegnere svedese Sten Gustaf Thulin, che sviluppò tale brevetto nel 1965 per la compagnia Celloplast di Norrköping.

Pagina 150: “cambiò cognome (…)uno dei pochi gesti sentimentali”.

Nel romanzo di Puzo e nel film Vito Antolini ha avuto affibbiato il nome di Corleone per un errore del funzionario. Secondo il mio punto di vista per rimanere in un parallelismo con il nome reale della persona a cui si è spirato il Puzo e cioè Polizzi

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LA LINGUA SICILIANA NEL ROMANZO

Pagina 84: “Sangu sciura sangu, disse. Il sangue chiama sangue. Questa è stata la rovina delle nostre tradizioni siciliane. (…) continuò in siciliano, dialetto che Geraci capiva perfettamente, anche se non era in grado di parlarlo.”

E’ la prima volta che incontro il verbo in questione “sciurari”, nel contesto significa “chiamare”, sarà qualche parlata, ma è più napoletano che siciliano. Mentre la parola “sciura”, si scrive correttamente “ciura’’ e in alcune zone si pronunzia con l’acca aspirata: “hiura” e in altre “ciura” e in altre ancora appunto “sciura”, significa “fiori”, è il plurale di “ciuri”.  

Pagina 131: “Invece di pronunciare il nome dei Tattaglia, Rocco fece un volgarissimo gesto siciliano.”

Considerato che questo gesto significava una negazione Rocco forse ha messo le due mani nel segno di mostrare l’organo genitale, oppure mettendo il pollice tra l’indice e il medio e mostrando la mano, o il semplice manico dell’ombrello, comunque a significare “sta minchia!”.

Pagina 165: “Disse Fredo in siciliano’’. Pagina 425: “cominciando a  parlare siciliano (…) anche lui in siciliano”. Pagina 427: “Michael in siciliano (…) essere certo che Joe non capisse il siciliano”.  

Pagina 173: “Ma dalle torbide e contrastate origini della mafia nella Sicilia del XIX secolo al giorno d’oggi, qualsiasi gesto umano, sia esso benevolo o violento, intenzionale o involontario, dettato da aggressività o dall’istinto di autoconservazione, da roventi passioni o da freddi raziocini, diventa parte di una vasta e sottilissima rete dove non vi è né tremore né battito che siano così lievi da non essere sentiti dappertutto. Per un siciliano, il cui dialetto è l’unico nel mondo occidentale nel quale manca la coniugazione dei verbi al futuro, il passato e il presente si fondono tra loro. Per un siciliano, il cui sangue ha sopportato seimila anni di invasioni e di occupazioni, un incidente o una coincidenza sono né più né meno significativi o insignificanti di un atto voluto; l’uno potrebbe essere indistinguibile dall’altro. Per un siciliano niente accade senza una ragione.”

In questo discorso  dell’Autore iniziato bene chiarendo che la mafia in quanto organizzazione malavitosa che ha gestito la violenza in Sicilia per conto dello Stato è nata con il fenomeno storico chiamato “unità d’Italia” e si è perso nel copia in colla dei pochi attenti che si siedono in cattedra a fare i professori di sicilianismo. In tanto in tutta quella forma poetica del battito che viene percepito dalla mafia ed è così spaventevole mostro mitico è solo una concezione politica, perché la mafia è una organizzazione delinquenziale fatta da uomini che operano atti criminali e non un dio dai mille occhi e dalle mille orecchie, in Sicilia ha prosperato per due motivi: il primo perché è servito al potere politico, dopo la seconda guerra mondiale in funzione di Gladio contro una probabile avanzata comunista nell’isola, il secondo motivo perché fino a gli anni novanta il popolo siciliano aveva un idea romantica dell’organizzazione in quanto affonda le radici nel neolitico, periodo dove i clan si adattarono a coabitare con i colonizzatori dell’epoca, mantenendo i propri codici morali. Ma la “malacarni” adoperata dai piemontesi poco aveva a che spartire con la sempre più traviata Onorata società. Mentre gli alleati hanno favorito l’importazione in Sicilia di Cosa Nostra, con codici sempre più distante al cosiddetto “onore” e sempre più motivata al “bissinisi”. Oggi il Popolo siciliano ha ben compreso che l’organizzazione politico/criminale è solo uno strumento di potere da parte dello Stato perché nel corso degli anni ha tradito tutti i suoi codici morali. Poi l’Autore si è imbarcato in quel pregiudizio razziale che la lingua siciliana non ha la coniugazione dei verbi al futuro, in un copia in colla da Demis Mach Smitth

         La mancanza della forma futura della lingua siciliana è stata oggetto di discussione per Leonardo Sciascia in La Sicilia come metafora:

“La paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali, che si ignora la forma futura del verbo. Non si dice mai: “Domani andrò in campagna”, ma “dumani vaju in campagna”. Si parla del futuro solo al presente. Così quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi vien voglia di rispondere: Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?”

          Preciso che nella forma del futuro prossimo si usa il tempo presente e nel futuro remoto il condizionale. Ad esempio: “Tra un anno andrò in campagna.” In siciliano diventa: “Fra un annu avissi a jri ‘ncampagna.” (tra un anno dovrei andare in campagna). La forma futuro viene adoperata solo per concetti teologici. Ciò la dice lunga sul fatto che la lingua siciliana è una lingua di pensiero, e nel pensiero siciliano solo Dio ha conoscenza certa del futuro perché è eterno e perciò contiene in sé il tempo tutto.

         Penso che la probabile fonte di questo concetto pregiudizievole si trovi su Storia della Sicilia Medievale e Moderna di Denis Mack Smith, che infatti cita anche Sciascia nel libro. Smith, nel giustificare il fallimento della riforma agricola del viceré Caracciolo, addossa le colpe al Popolo siciliano e al suo pessimismo e sostiene:

“In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire, neanche a breve scadenza. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”

         Lo scrittore Nello Vecchio, nel libro “Omaggio a Leonardo Sciascia”, edito dalla Provincia Regionale di Agrigento38, fa una riflessione su Smith e scrive:

“E’ curioso che a fare questa affermazione sia proprio un parlante di lingua inglese, lingua nella quale, come appunto in siciliano, i verbi non hanno una forma futura specifica; ma nessuno si sognerebbe di inferirne che gli inglesi “hanno difficoltà a pensare al domani”.

Tratto: S.O.S. SICILIA “ libro pubblicato dall’Autore” sul sito Amazon, Made in the USA  presso Meddletown. DE, costo di copertina 18.32€ – 9 gennaio 2021.

 Vorrei aggiungere che anche in lingua tedesca per coniugare il verbo al futuro semplice si deve adoperare il verbo werden (diventare), ma il suo significato più profondo è la volontà di fare quella precisa azione quindi un tedesco per dire che andrà a Berlino dice: “Ich werde nach Berlin fahren” (Io ho la volontà di andare a Berlino), né più e né meno di un siciliano che dice: “Io avissi a jri a Berlinu”. Ma nessuno si mette a filosofare condizioni razziali  sul Popolo tedesco. Poi l’Autore si sbizzarrisce sulle occupazioni degli altri popoli della Sicilia che ha causato nel suo Popolo il fatalismo, altra congettura gattopardesca derivata dalla volontà di infliggere su un popolo il virus mortale della rassegnazione. In realtà il fatalismo può anche nascere perché la Sicilia è un’isola vulcanica, quante nazioni al mondo hanno subito l’avanzata e il dominio di fenici, greci, romani, arabi, spagnoli, tedeschi, americani ma a nessuno di questi si pensa di marchiare come si fa con i siciliani, perché? Risultato il discorso dell’Autore è carente di approfondimento storico culturale e rende la sua opera solo artigianato commerciale.

CONCLUSIONI

Non so se consigliare o no di leggere il libro, ma posso consigliarvi di non comprarlo perché non aggiunge niente al vostro sapere.

LEGGI ALLEGATO

PIRANCINU

29 Giu

Clip per la Notte dei video.

Pirancinu è un racconto breve, che può benissimo iniziare da dove finisce. Nani, calzolaio di Bordolino, quando la sera va in osteria, a tavola, viene attorniato da gli altri assidui frequentatori, così mangiando qualcosa e bevendo vino, racconta le sue avventure di pirata, quando al solo udire PIRANCINU provavano tutti terrore. La chiave di lettura di questa storia è soprattutto umoristica e se pur crudele, come lo è il mondo della pirateria nella letteratura, ha dentro figure ermetiche per una riflessione più profonda sulla repressione e la rivalsa della persona, tutto in un realismo magico. Sono lieto di essere uno di voi anche questa volta e voglio partecipare pienamente leggendo i vostri racconti ed ascoltandovi questa sera, grazie a Historica Edizione ed a Stefano Andrini.

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Il terribile pirata Pirancinu, era iracondo e vendicativo, ma vederlo rotolare da poppa a prua come una arancina suscitava ilarità, in speciale modo tra i nuovi arrivati della sua ciurma, che così andavano a finire in pasto ai pescecani. Il soprannome Pirancinu, in realtà si chiamava Giovanni Zambroni e proveniva da Bordolino, poco distante da Verona, gli fu appiccicato in cucina, dove lavorava come sguattero, dai suoi colleghi siciliani Domenico e Giovanni. Ricevette così tanti scappellotti in testa e pedate nel sedere, che arrivò ad odiarli. Spesso farneticava da solo, come una pentola che bolliva, poi sbatteva qualche attrezzo da lavoro. Una notte Pirancinu, confuso tra sogno e realtà, assistette alla metamorfosi di Anastasia, da gatta a donna, che lo guardava vogliosa, nuda sul suo letto. Lui non si fece scrupoli. Al mattino si svegliò nudo con Anastasia che lo fissava e gli miagolò appena aperti gli occhi. Sentiva un bruciore dietro le spalle, si guardò di riflesso nell’oblò e scoprì di avere dei graffi abbastanza marcati.

Ho avuto l’onore del avere avuto selezionato il mio racconto breve “Pirancinu” in questa antologia RACCONTI A TAVOLA 2021 – VOLUME 1 a cura di Stefano Andrini della Historica Edizioni.

BASTA SOLO SVEGLIARSI

14 Giu

Racconti-siciliani-vol.1_cover-600x851.jpgAnche questo anno un mio racconto breve è stato selezionato per l’evento antologia RACCONTI SICILIANI 2021edita da Historica edizioni. Nel volume 1 a pagina 199 troverete “Basta solo svegliarsi”. E’ una storia che va letta dall’inizio alla fine per scoprire gli arcani segreti della nostra mente. La Sicilia è la protagonista di questa storia nella vita vissuta dei personaggi.

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-Basta solo svegliarsi, per scoprire che tutto ciò attorno a te non è vero, non è così. E allora perché non mi sveglio ancora? Chi è mai questa che, con così tanta confidenza, mi si rivolge? E tu? Almeno tu, dimmi dov’è la mia strada di casa. Voglio tornare tra le mie cose, tra la mia gente! Perdio, questa non è casa mia! Vi siete messi tutti d’accordo contro di me.

                  Ogni mattina era la stessa storia. La povera moglie si disperava a vedere il suo uomo, dopo quarant’anni di matrimonio, di vita vissuta insieme, giorno dopo giorno, che non la riconosceva più, la guardava con due occhi straniti e guardinghi, pronto a fuggire da lei. Quando lei lo chiamava per nome:

-Gerlando!-, lui si voltava di scatto, incuriosito. -Mi riconosci?

-Si! Certo!

-Chi sono?

-La signora…

-Non mi conosci più? Tua moglie sono, Luigia!

               Lui la guardava, ancora più preso dall’ignoto, quasi sgomento. Pensava: perché mai questa lo voleva ingannare in quella maniera? Lui non conosceva affatto quella anziana signora, che gli voleva confondere le idee. Aveva chiaro nella mente l’immagine della sua Luigia, bella, fresca con una pelle bianca e rosea, due occhi dolci, neri, a mandorla e una massa di capelli corvini. “Cosa vuole questa, con la pelle scura, macchiata, questi capelli marroni, secchi e bruciaticci? Chi l’ha mai vista? E poi quest’altro buffone… “papà!”. Il sole lo riconosco bene, con la sua calura, con il suo cielo, pure quella chiesa, con il suo campanile e la sua alta e magnifica cupola è quella di sempre, ma tutto il resto non è come dovrebbe essere”, pensava Gerlando tra se, mentre osservava i due, che si facevano strani segnali con gli occhi e lo spiavano.

Buona lettura

Alphose Doria

“LA CITTA’ DEGLI ANGELI CADUTI”

29 Mag

Riflessioni di lettura su L. A. Confidential di James Ellroy

Molti di noi diciamo di credere in Dio, a volte penso che bisogna capire bene a quale dio si crede e questo vale per ognuno di noi. Anche James Ellroy afferma di credere in Dio. La mia impressione che il dio a cui crede è il creatore dei suoi libri, è se stesso potentissimo fautore del destino dei suoi personaggi fantasmi assetati di vita. Il suo dio gli ha voluto assegnare un destino e lo ha portato dritto a questa missione di scrittore.  Non vi è una linea di demarcazione tra il bene e il male. I personaggi di questo mondo sono 51Dtcd7JFbL._SX361_BO1,204,203,200_.jpgperduti nella droga, nel sesso, nella perversione, nell’arsura di denaro, sono angeli caduti dal Paradiso in questa città che l’hanno rasa un luogo di perdizione, pronti ad ammazzarsi l’un l’altro. Persino gli eroi sono assassini e arrivisti. James Ellroy è il creatore assoluto di questa dimensione del mondo. E’ come una stringa temporale che mostra all’umanità della storia appena passata. Una visione lucida, spietata, ma romantica, perché vuole dare la possibilità di una scelta diversa all’uomo, ad un criminale potenziale, al suo lettore, di redenzione. Per questo Ellroy è un romantico e moralista. Lui si rivolge a quell’anonimo assassino (e forse stupratore) della madre, lo cerca nella storia e lo indica col dito, lo guarda negli occhi e gli racconta queste storie di crimini, nel suo intimo si rassicura che avrà un attimo di cedimento ed alzando la mano a voce rotta griderà: “Sono stato io! Voglio redimermi!”, magari in uno dei suoi libri, magari in una delle tante stringhe temporali non commetterà il delitto. Ma ancora non è successo. Il suo dio all’Autore gli ha dato la missione di scrivere questi libri e chissà se negli ultimi libri accadrà qualcosa? E’ pur vero che è toccato a James Ellroy narrare le vicende di questi angeli caduti su Los Angeles, è come una missione che tanti di noi a volte scopriamo di avere. Ho visto in una intervista di Lilli Gruber a “Otto e mezzo” che chiedeva all’Autore sulla politica, tra le tante domande inutili, ma la politica non c’entra nei suoi libri, vi è la finzione storica e non la realtà, lui è l’”onnipotente” di quella storia, è il visitatore di quella stringa temporale, dove il capo della CIA può essere gay senza esserlo stato nella realtà, in fondo poco conta se lo sia stato o meno nella nostra stringa temporale. La predisposizione del lettore è quella di lasciarsi trasportare dal linguaggio del libro che sta leggendo e viversi quell’esperienza al di là della morale affinché raggiungendo l’ultima pagina si ha chiara in mente cosa sia la redenzione. La letteratura americana ha anche questo grande Autore che è riuscito ad arricchirla con un nuovo codice per il genere del giallo e di avere schiarito le parti ombrose delle pieghe dell’anima della storia americana, senza denunzie, solo sensazioni e sentimento. Il maschio letterato se non è di successo fa talmente pietà alla donna che sicuramente non riuscirebbe a farci sesso se non in caso di magra. Mentre quello di successo è il contrario, la letteratura è l’attributo che porta all’uomo la possibilità di copulare con più donne. Questo in sintesi è la ricompensa della missione di scrittore di Ellroy, forse in maniera sarcastica ed umoristica. Comunque il personaggio femminile nei suoi libri è sempre una reincarnazione della madre, in un continuo nascere e morire come in alcune leggende dannate di fantasmi destinati a rivivere la loro morte. A pagina 384: “Kathy gli diceva ammazzalo! Bud pensò a sua madre, per la prima volta da anni”. Le donne vengono vendute e comprate, stuprate, ammazzate, tagliate a pezzi e l’amore è così evanescente che non può persistere per molte pagine. Anche loro angeli caduti. Quindi gli ingredienti sono: eroina, piombo, dollari e sperma. I condimenti: corruzione, prostituzione, perversione, razzismo, pornografia, blasfemia, eccetera. Nelle pagine 190 e 229 si leggono bestemmie pesanti che per pudore non riporto. Ma tutto è solo letteratura!

L. A. Confidential di James Ellroy – La biblioteca di Repubblica – Le strade del giallo 1 – Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. – Milano, 2004, costo €1,00. Traduzione di Carlo Oliva. Quando lavoravo al panificio, il sabato sera, o la domenica mattina andavo in edicola a caccia di qualche offerta particolare di libri, ed ho trovato sempre qualcosa d’interessate. Me ne tornavo a casa con il mio bottino settimanale. Una di queste volte ho trovato lì questo interessante giallo/noir, l’ho preso e sistemato in biblioteca, messo in valigia nell’ultimo viaggio i Sicilia, è toccata la sua ora. Le prime cento pagine sono un’orgia di nomi, rimani stordito, torni indietro, rileggi le pagine, ne esci sconfitto, poi ti rendi conto che l’unico metodo è quello di lasciarti trascinare dalla correte di quelle parole, senza pregiudizi su quella scrittura, che può sembrare a volte blasfema, orrida, razzista, omofoba, perché si capisce che è un genere e l’unico sistema per visitare quel mondo creato da Ellroy è solo di fidarsi, così pagina dopo pagina scopri ch’è letteratura americana. Può piacere o no, è solo una questione di gusti, ma visto il successo che questa letteratura ne ricava in tutto il mondo tramite la celluloide è giusto sapere. Il film omonimo ispirato all’Opera, regia di Curtis Hanson del 1997, lo trovo un capolavoro, pur non essendo fedele alla trama al cento per cento riesce a descrivere il mondo del libro, a dare immagine alle parole, quindi sia libro che film possono essere distintamente goduti dal pubblico di ambo le parti, sia lettori che spettatori. La stringa temporale del racconto è tra il 1950 e il 1958. Molto interessanti le pezze di appoggio alla storia, nei capitoli “CALENDARIO”, con la creazione di falsi autentici come articoli di giornali e “rapporti annuali di servizio della polizia”, una trovata geniale dell’Autore che trascina il lettore in quella dimensione ancor più facilmente.

Sottolineature

Pagina 32: “marijuana, l’erba che ha radici all’Inferno”.

Pagina 41: “nonostante le sue ascendenze giudaiche”; pagina 43: “Ellis Loew vuole una moglie. Possibilmente non ebrea”; pagina 49: “non è ebreo? –Si, ma non si vede.”; pagina 60: “cominciò a ispezionarlo, probabilmente in cerca di indizi somatici di ebraicità. (…) piccolo ebreo.”; pagina 62: “Mamma e papà lasceranno correre il fatto che è ebreo”; pagina 76: “una medicazione fasulla che qualche avvocato ebreo gli aveva detto di mettersi.”; pagina 309: “una molestia da sopportare per questo suo ebreo Gesù”

Pagina 236: “Un filo diretto  tra la Mafia e il Vaticano!!!”

Pagina 284:  “uomini duri con una donna che suscitava la loro gratitudine perché dava loro l’opportunità di sentirsi gentili”.

Pagina 285: “termini “disarmati” e “non pericolosi” “. In un verbale l’omissione fa la differenza e di un intervento di polizia un atto di giustizia sommaria.

Pagina 308: “giuro sulla Bibbia, un libro che non ho mai letto”.

Pagina 310: “alla causa delle democrazia”; pagina 365: “l’assassino gli fa fatto vedere i negativi”, una svista capita anche a questi livelli.

Pagina 314: “Una soffiata a una rivista scandalistica. Un tipo di “Whisper” gli doveva un favore: si davano arie da foglio progressista, andavano matti per i neri e i comunisti, odiavano la polizia.”; pagina 467: “il vostro discorso è una trappola, un inganno ancora peggiore del comunismo!”

Pagina 425: “Le monete false tornano sempre in circolazione.”

Pagina 188: “la pornografia è una cosa da morti di fame, buona solo per i falliti che non riescono a scopare”.

Conclusioni

Per chi ama la letteratura è imperdibile.

IL SICILIANO E IL MONDO

19 Mag

Riflessioni di lettura su Geografia sentimentale di un emigrante italiano di Salvatore Vento

Geografia sentimentale di un emigrante italiano – Sicilia, Venezuela, Stati Uniti, Liguria di Salvatore Vento – Erga edizioni – Genova, aprile 2021 – Prefazione di Luca Borzani – Introduzione di Simone Farello -Collana “Un italiano, molti mondi”.

E’ un libro soprattutto stimolante. La lettura pone molte  interrogazioni e molte aperture a discutere. La micro e macro storia s’intrecciano, come succede nella realtà, solo che l’Autore ha voluto mettere una lente d’ingrandimento nei nodi di questa treccia. Vi sono versi, ritagli di giornali, prosa narrativa, fotografie, questo libro è come quelle opere preromantiche della letteratura tedesca, dello Sturm und Drang,  che prendeva ad esempio letterario la Bibbia, non tanto per la poetica, ma per la struttura letteraria dell’opera. Per potere affrontare tutti gli argomenti storici politici di questo libro occorre scrivere tante e tante pagine, quindi cerco di non andare oltre il seminato ed affronterò le spigolature leggere come la storia locale e le curiosità linguistiche siciliane.

Copertina Geografia sentimentale 26.4.2021.jpgIncontrai Salvatore Vento nei primi di maggio del 2005, allora ero presidente pro tempore della pro loco “Siculiana” e mi era stata segnalata la sua presenza nel nostro paese dal Comune, l’ho contattato e sono andato a trovare dove lui era ospite dalle suore dell’Istituto del Sacro Cuore, sempre a Siculiana. Ho avuto l’impressione della persona, precisa e dignitosa che si è realizzato il proprio futuro sostenuto da una bella famiglia. I tempi erano stretti perché lui doveva tornare a Genova ed io volevo presentare il suo libro e lui alla nostra comunità. Nella Pro Loco avevamo istituito una Targa di Merito e quindi volevamo insignire Salvatore Vento “per avere portato alto il nome di Siculiana”. Nel nostro paese vi era la festa del SS. Crocifisso, ed io operaio in un panificio in quelle giornate dovevo lavorare  più ore. Tutto andò bene, e sono onorato che il dottore Salvatore Vento ha voluto ricordare l’evento pubblicando la suddetta targa a pagina 255. Il 7 maggio 2005 io presentai il suo libro alla comunità riunita per l’occasione al centro sociale e conclusi così: “Nel-LA CITTA’ RITROVATA di Salvatore Vento abbiamo trovato (Pag. 147): Passioni, sofferenze e contraddizioni di una persona libera, che cerca.” Come lui stesso fa cenno a Socrate: “nei viaggi non fai altro che portare te stesso.” E Vento ha portato con se quel Cristo nero che ogni siculianese porta con se, l’ombra del cortile di via Cognata e la chiesa in cima al colle.”

Ringrazio Salvatore Vento per la citazione a Pagina 122,3: “Alphonse Doria, un amico siculianese, appassionato di letteratura e di storia locale, nato nel 1956 in Belgio dove era emigrato suo padre, racconta: Mio padre è stato il capo filiera dell’emigrazione dei Doria e di altri parenti, i quali sono rimasti tutti in Belgio, mentre lui è tornato a Siculiana con quel sogno che si era prefisso di fare il radiotecnico. Lavorava nelle miniere di carbone. Lui è stato uno di quei tanti che partirono con “i treni della speranza” dalla Sicilia. Quindi mio padre è stato un“muso nero”, perché i minatori venivano chiamati proprio in questo modo. Peppi Doria aveva visto affissi i manifesti sui muri di Siculiana per questa grande opportunità: l’emigrazione. Non aveva altre scelte, la famiglia era numerosa e in grande necessità economica. Non diceva granché il manifesto sul tipo di lavoro, o la pericolosità. Si partiva per Milano, dove sotto la Stazione Centrale avevano organizzato la ricezione. Lì selezionavano chi era di età inferiore a 35 anni, maschio e di sana e robusta costituzione. Chi non aveva questi requisiti se ne tornava a casa. Partirono sani e chi tornò, compreso mio padre, si era ammalato. Silicosi e tumori ai polmoni erano malattie professionali riconosciuti dal Belgio solo dal 1964, con una postilla: la richiesta della pensione doveva essere fatta prima dei due anni dal ritorno del Belgio. In questo modo sono stati esclusi quei tanti che non si visitarono al ritorno per avere magari sottovalutato i sintomi e tutti quelli che erano tornati prima del ’62. Una vera beffa che anche mio padre subì.” (tratto da: Le strade trascorseVia Ospizio , https://alphonsedoria.wordpress.com/racconti/strade-percorse/ ).

Ognuno di noi siciliani si porta la Sicilia nel cuore e in un certo qual modo la condivide con tutti gli altri che incontra nel mondo, è una forma di altruismo, di fratellanza che non può fare a meno.

Sottolineature

(…)

Pagina 276, Postfazione dell’Editore : “La chiave di questa pacificazione possibile è però proprio nella scrittura. Perché nella letteratura della migrazione è il migrante a prendere la parola rivendicando il discorso su di sé, la sua verità.” E’ vero! Anch’io vorrei dare il mio contributo con questo modesto sonetto:

Nascivu emigranti

Quannu un sicilianu parti emigranti

Un pezzu di cori si ci attacca  ‘nterra

E u restu n’u pettu è duluranti

Luntanu senza paci e mancu guerra.

Accussì i me ginitura comu tanti

Pirchì quannu a corda è stritta serra!

Dda, a lu Belgiu, nascivu iu, emigranti.

“Chista chi vidi è la nostra Terra!”

Me patri mi mustrava na u traghettu.

Vidiva nni d’occhi a cuntintizza,

Pi la Sicilia amuri e rispettu.

Cu affenni a cu lassa sta ricchizza:

“Cudardu!”, “vigliaccu!” fu puru dittu,

Ni la testa ci havi sulu munnizza.

Conclusioni

Consiglio la lettura di questa Odissea che ancora non finirà mai, perché è stimolante all’intelletto ed alla riflessione.